Domenica scorsa sono stata all’Ikea.
A 3 anni sognavo di disegnare un cerchio perfetto con un unico tratto. Come il tizio sulla confezione di matite colorate. E di riuscire a lavar bene le mani senza lasciare troppe tracce delle mie avventure pennarellistiche.
A 5 anni, di poter correre a perdifiato senza soffrire di epistassi (altrimenti detta emorragia nasale) che invece, ahimè, mi colpiva senza preavviso. Bastarda. Io a scuola materna ero quella che“Natalia non stare troppo al sole. Vedrai che con lo sviluppo questa cosa ti passerà”. Volevo essere una bambina normale. Ero invece quella che stava all'ombra guardando gli altri, fantasticando su cosa fosse "lo sviluppo".
A 10 anni sognavo di scrivere un libro. Come Jo di Piccole Donne (io sono, in realtà, Jo) (Non ridere)
A 13, di compiere un’importante scoperta archeologica. Come quelle raccontate da Piero Angela. Non mi perdevo mai una puntata di Quark. E scrivere un libro. Con la Olivetti di mio nonno.
A 16, scoprire i misteri della mente umana. Come Freud. E scrivere un libro. Come Pirandello. O come Kafka.
A 18, eliminare le ingiustizie sociali. Come Martin Luther King. E scrivere un libro. Come Pasternak. E comprare un parca verde.
A 20 di laurearmi in legge, imparare la Costituzione a memoria e diventare un po’ Perry Maison, un po’ Ally McBeal, un po’ Gaber e un po’ Salvatore Dalì. Che apparentemente non centra nulla. Però aveva dei baffi stupendi. E scrivere un libro. Come Foster Wallace. E come Cassano.
A 27 di essere donna senza doverlo urlare, di poter re-imparare a muovermi nel mondo camminando senza ombrelli, che tanto li dimentico nel primo bar. Senza rabbia, né rancore, ma con fossetta attaccata sulla guancia. E pure di poter piangere su un autobus senza dovermene vergognare. Di sorridere. E di scrivere un libro. Come Toni Morrison. ( E mi pare che quando c’avevo ventisette anni o giù di lì pure la D’Addario. Vabbè)
Adesso sogno di varcare l’uscio di casa ( e già questo è fico perché significa che ho le chiavi) abbandonare la borsa gigante a terra e gridare “amoreeee sono torn……..”
E scrivere tanti fogli da raccogliere per non fare troppo casino che la casa è piccola e la scrivania pure e….
Sono andata all’Ikea.
Mamme, per favore, lesson number five: un passeggino è un passeggino.
Non è un’arma impropria da utilizzare per farsi spazio tra i corridoi dai percorsi obbligatori indicati da frecce di gomma colorate.
Non è neppure un carrello in più.
Per cui tra un figlio sfinito ed un lenzuolo a righe KoprituttaKasa, per favore, date priorità al primo.
Salvo indicazioni contrarie dettate dalla bellezza del lenzuolo.
Cari papà: far finta che tutto ciò non accada o che non esista o che non sia mai esistito perché voi c’avete ancora 12 anni ed in quel momento non siete all’Ikea, ma sul campo di calcetto con Gino imitando Mazzola, è illogico ed immorale. Seppur bellissimo.
Mi servirebbe una cassettiera, un armadio con dei cassetti, un comodino con dei cassetti.
Che c’ho troppi fogli e troppi sogni tutti insieme, tutti mischiati in casa e per strada. E non ci stanno.
E la casa è piccola.
E la strada è piccola.
E bisogna far ordine.
Tra l’altro è ancora tutto un po’ di qua e un po’ di là.
Sul divano, per esempio, adesso c’è lei:
“Lo so, sembra niente, ma per me già capire che pullman devo prendere, dove passa e come arrivarci è un lavoretto”
lunedì 25 novembre 2013
martedì 19 novembre 2013
Con il cuore a serramanico
Non ho più paura di me.
Cioè, mi spiego.
Capita sempre quella mattina sbagliata in cui ti svegli con le occhiaie, il brufolo sul mento ed i capelli totalmente impettinabili che Pantene hydra liss-col-cazzo-che-funziona.
Ma
Non ho più paura di me.
Ti svegli, quella stessa mattina lì e quella te lì non la scacci più con un colpo di fondotinta ed una calzamaglia di sorriso impermeabile.
Ne accarezzi gli errori, ne apprezzi le nottate insonni.
Deridi un po' quelle ansie, come fa una vecchia zia. La guardi allo specchio e, senza parlare troppo, le lanci uno sguardo del tipo "quando sarai grande capirai".
Non ho più l'ansia di colmarmi ed i vuoti non sono più vuoti d'aria, nè a rendere, nè a perdere.
Magari non vincono, ma manco perdono, ecco.
Ecco.
Non digrigno più i denti per una lacrima. Non chiedo scusa prima di parlare, semmai dopo.
Non corro in cerca di certezze nel futuro, cammino.nel presente e faccio, e disfo, e sogno, e lotto e mi indigno e faccio pace e spero.
Non ho bisogno di sentirmi dire che mi ami, mi basta sentirlo.
Faccio me, adesso, insomma.
Andrea De Carlo mi direbbe una cosa tipo
Lo so come ti senti. È come essere dietro un vetro, non puoi toccare niente di quello che vedi. Ho passato tre quarti della mia vita chiuso fuori, finché ho capito che l'unico modo è romperlo. E se hai paura di farti male, prova a immaginarti di essere già vecchio e quasi morto, pieno di rimpianti.
Non ho paura.
Credo.
Cioè, mi spiego.
Capita sempre quella mattina sbagliata in cui ti svegli con le occhiaie, il brufolo sul mento ed i capelli totalmente impettinabili che Pantene hydra liss-col-cazzo-che-funziona.
Ma
Non ho più paura di me.
Ti svegli, quella stessa mattina lì e quella te lì non la scacci più con un colpo di fondotinta ed una calzamaglia di sorriso impermeabile.
Ne accarezzi gli errori, ne apprezzi le nottate insonni.
Deridi un po' quelle ansie, come fa una vecchia zia. La guardi allo specchio e, senza parlare troppo, le lanci uno sguardo del tipo "quando sarai grande capirai".
Non ho più l'ansia di colmarmi ed i vuoti non sono più vuoti d'aria, nè a rendere, nè a perdere.
Magari non vincono, ma manco perdono, ecco.
Ecco.
Non digrigno più i denti per una lacrima. Non chiedo scusa prima di parlare, semmai dopo.
Non corro in cerca di certezze nel futuro, cammino.nel presente e faccio, e disfo, e sogno, e lotto e mi indigno e faccio pace e spero.
Non ho bisogno di sentirmi dire che mi ami, mi basta sentirlo.
Faccio me, adesso, insomma.
Andrea De Carlo mi direbbe una cosa tipo
Lo so come ti senti. È come essere dietro un vetro, non puoi toccare niente di quello che vedi. Ho passato tre quarti della mia vita chiuso fuori, finché ho capito che l'unico modo è romperlo. E se hai paura di farti male, prova a immaginarti di essere già vecchio e quasi morto, pieno di rimpianti.
Non ho paura.
Credo.
martedì 5 novembre 2013
Coiti interrotti
Entrano ed escono come si fa in rosticceria.
Le persone.
Nella vita, nei rapporti e in questa libreria fatta di pagine e di aliti impalpabili.
La gente.
Alle volte, da seduti, sembra di vivere la vita a metà.
Da metà vita in giù, intendo.
Come i giornalisti, quelli seri, con il tailleur blu o grigio coda di volpe di Londra, che si vedono in tv.
Che magari sotto la giacca sono in mutande.
Clemente Mimun potrebbe avere, ad esempio, solo i boxer di Natale di Calzedonia. Quelli che suonano al centro e che stonano anche il più banale dei Jingle Bells.
O Lilly Gruber indossare tutti i giorni una scarpa viola ed una gialla, e tu non lo sapresti mai e forse non lo saprebbe neppure lei.
C’è chi crede che dalla vita in giù non ci sia nulla.
E’ una vita di mezzi busti che aspettano delle gambe per correre da qualcuno.
Da quelli che entrano.
Entrano, sbriciolano panini e parole a caso su questa scrivania, alle volte un ciao, un buongiorno.E se ne vanno.
Ti chiedono come si intitola l’ultimo di Fabio Volo, se in famiglia è tutto ok . E se ne vanno.
E’ una vita di coiti interrotti vissuti dalla vita in su.
Pensa un po’.
Che leggi la trama degli altri non negli occhi, nelle loro strette di mano o nei vaffanculo durante un litigio, ma nei quarti di copertina.
Di cosa ti lamenti?
Se non sai capire la differenza tra un ti amo e un non ti amo più, solo perché non è scritta in una mail.
Cosa vuoi?
Se la vita ti dev’essere spiegata come fosse la legenda del Monopoli.
E la mancanza non la capisci solo perché anche un mezzo busto fa presenza.
E non comprendi la differenza tra un mezzo busto e un busto intero. Con le gambe pronte a correre.
Come si fa a non capire?
E’ così che funziona.
C’è chi i libri li legge e chi li scrive.
Chi gli arancini li sa filare, e chi li compra già unti in friggitoria.
Chi il pesce lo pesca e chi compra il merluzzo Findus.
E poi lì, in mezzo, ci sono un sacco, una miriade, una infinità, di sfumature, di colori.
C'è chi i libri non li scrive e non li legge, ma li compra soltanto.
Chi non ama la frittura e neppure gli arancini (lo so, è inspiegabile, ma c'è anche sta gente), chi il pesce non lo pesca ma odia i surgelati e quindi lo va a mangiare direttamente in Norvegia.
C’è un sacco di roba in mezzo, capisci?
E non sempre c’è il quarto di copertina per tutti.
Quindi bello mio, levati le scarpe di pelle sottile biodegradabile, lasciale sulla riva del tuo mondo perfettamente finto ed inutile che fuori c'è pioggia. E' Novembre.
Fuori ci son pozzanghere coperte di foglie secche, piscio di cane ai bordi. Ci son mozziconi di sigaretta gettati di fretta prima di salire sul tram. C'è sole che scalda e vento che penetra.
E devi ballare, camminare o correre per come viene.
C'è terra lì fuori, ci son scelte da fare e strade da percorrere, e non ci sarà sempre qualcuno pronto a prenderti in braccia per evitare che i tuoi pieni umanissimi si sporchino lì in mezzo.
O sai vivere o no.
Oppure puoi decidere di restare lì, dentro la teca dei ricordi, dove John Lennon e Lou Reed sono ancora vivi e mangiano insieme un kebab parlando di donne.
O sai vivere o no.
Lì non c’è sfumatura che tenga.
E non a tutti i perché c’è una risposta.
C’è chi lo sa fare e chi no.
Sono le differenze, mio caro.
Quelle spaventano i mezzi busti e che nutrono chi vive, così.
In piedi.
martedì 29 ottobre 2013
Su una pietra che rotola non si forma la muffa
+1
E non solo come età.
Cioè non solo nel senso che tra
due mesi i miei 30 subiranno un +1 e la cosa mi porta, inevitabilmente, a
riflettere.
Anche in quel senso lì, ma non
solo.
“Ciao sono Natalia. Si lo so è un
nome strano ma non sono spagnola, No no neppure russa. Solo figlia di una madre
che ha rielaborato in modo fantasioso il nome di mia nonna che si chiama
Natalina ma per le amiche Lina ma a te ovviamente non importa nulla. Quindi
aspetta. Dicevo. Sono calabrese, ho studiato a Pisa ora vivo a Torino. Cerco di
non perdere mai l’orientamento ma ti rendi conto anche tu che alle volte, è un
po’ un casino. Lavoro qui, respiro qui.
Scrivo da sempre e sempre macchiandomi di nero l’anulare destro.
Tu invece sei quello col master
ed profilo importante su Linkedin. Ho visto.
Boh si certo, accetto il
contatto, che è accompagnato da un messaggio così cortese che come potrei dire
di no”?
No?
+1.
Non ci conosciamo, forse non ci conosceremo
mai ma…
Fai +1 like wow sul mio profilo, su un mio status, sul mio
aggiornamento di lavoro, sul mio tweet, su una foto, sulle zucchine gratinate
che preparo, uno starnuto, uno sputo di segnale.
In realtà magari non te ne
importa nulla. Ti è solo scappata la mano su quel pulsante lì. O hai voglia di
testimoniare che in quella frazione di secondo, contestualmente, calpestavamo i
giardini dell’etere.
Ciao sono Natalia e, come spero
tu possa ben valutare, ho una foto professionale per il curriculum
professionale, estemporanea ed amichevole per gli amici facebook e…
E mi sento una schizofrenica.
Che scrive
dei bigliettini in bianco e nero da inserire nelle bottiglie di vetro che poi
lancia in un mare fatto di gente col surf, di onde, di eventi, di giochi (a,
per inciso, per favore non gioco ai giochi delle case, dei crimini, dei vermi
grossi che mangiano vermi piccoli. Non ne sono capace e non ne ho voglia).
Ed io il surf non ce l’ho. Manco
il corso di vela ho fatto.
Te lo vorrei dire ma non so come
scriverlo bene in inglese, in tedesco ed in latino, per farti vedere quante
cose so fare.
Ho quasi 31 anni e da bambina
pensavo che a quest'età avrei già avuto 4 figli da portare all’asilo, un marito, forse un
cane, una casa e dei cappotti marroni, una veranda e un divano rosso.
Viviamo per realizzare dei sogni
che, se ti va bene e ne realizzi uno o uno e mezzo, comunque, te ne rimangono
fuori a quintali.
Abitiamo centri città che non ci
apparteranno mai fino in fondo.
E noi non apparterremo mai ad
esse.
Progettiamo diversi futuri
possibili, per non restare intrappolati in dei piani A e B e C.
Scegliamo la 1 la 2 o la 3 in base al tempo,sperando che la felicità non sia rimasta nella 4.
O bloccata per sciopero di
Poste Italiane.
Che sto iniziando a creder che la
felicità sia come la fede, un dogma.
Che i dogmi, alla fine, sono un
continuo, eterno, bilanciato e sapiente giochino di bastone/carota, bastone/carota,
bastone/carota.
La vita con te e tu con la vita.
La madre della mia migliore amica
quest’estate mi ha detto “voi siete troppo sensibili. Ogni tanto sarebbe
meglio nascere pietra”.
Nascere pietra....
Dura. Piazzata lì….
Poi, ho pensato: io pietra?
Io pietra avrei, nell'ordine:
- chiesto a Jovanotti perché mai si riempiva le tasche di me e dei miei simili;
- insultato coloro che mi scagliavano contro Maddalena, bastardi;
- chiesto spiegazioni al tipo che mi lanciava per poi nascondere la mano;
- preteso un “grazie” o quantomeno un piccolo gesto di riconoscenza da parte di tutti gli ombrelloni che d’estate aiuto, dando una vigorosa mano contro il vento. Io che rischio ogni volta il soffocamento dalla cordicella che mi attaglia e che mi turo il naso in apnea sotto la sabbia.
Troppo complicata come vita anche
quella da pietra, ecco.
Sarei scivolata dalla montagna,
mi sarei staccata dalla scoglio, avrei fatto mille rotoli o salti per evitare
la muffa sopra di me.
Sarei stata una pietra dentro un
sogno.
Con questo libro in mano.
O dentro una bottiglia.
Le mie storie sono scritte da un uomo che sogna un mondo migliore, più
giusto, più pulito e generoso. Le mie storie sono scritte da un cileno che
sogna di veder realizzato in questo paese il sogno più bello, quello di sederci
tutti con fiducia alla stessa tavola, senza la vergogna di sapere che gli
assassini di coloro di cui sentiamo la mancanza non ricevono il giusto castigo.
giovedì 24 ottobre 2013
Bisogna aver sempre l'aria utile quando non sei ricco
Lola, dopo tutto, non faceva che divagare su
felicità e ottimismo, come tutte le persone che sono dalla parte giusta della
vita, quella dei privilegi, della salute, della sicurezza e che hanno da vivere
per un bel po'.
Ho uno scaffale tutto francese,
io che non sono mai stata a Parigi.
Quindi posseggo ancora quel privilegio
dell’immaginazione.
E, qui dentro, ho tutta la
profetica lucidità del delirio che l’immaginazione può portare.
Uno sguardo
che nulla perdona a sé e agli altri, che ha il coraggio di affrontare la notte
dell’uomo così com’è.
L’anarchico
Céline, che amava definirsi un cronista, aveva vissuto le esperienze più
drammatiche: gli orrori della Grande Guerra e le trincee delle Fiandre, la vita
godereccia delle retrovie e l’ascesa di una piccola borghesia cinica e
faccendiera, le durezze dell’Africa coloniale, la New York della «folla
solitaria», le catene di montaggio della Ford a Detroit, la Parigi delle
periferie più desolate dove lui faceva il medico dei poveri, a contatto con una
miseria morale prima ancora che materiale. Totalmente nuovo, nel panorama
francese ed europeo, è stato poi il suo modo insieme realistico e visionario,
sofisticato e plebeo con cui Céline ha sputo trasfigurare questa materia
incandescente. Per lui, in principio, è l’emozione, il sentimento della vita:
di qui l’invenzione di un linguaggio che ha tutta l’immediatezza del «parlato»
quotidiano, capace di dar voce, tra sarcasmi e pietà, alla tragicommedia di un
secolo.
Questo libro
sembra riassumere in sé la disperazione del Novecento: è in realtà un’opera
potentemente comica, esilarante, in cui lo spettacolo dell’abiezione scatena un
riso liberatorio, un divertimento grottesco più forte dell’incubo.
È forse questo che si cerca nella vita,
nient'altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi,
prima di morire.
Le mie parole
si fermano qui.
Questa sera
che, lo so, che gli Dei non dovrebbero trasformare in realtà i sogni.
Ma..Magari
non tutti.
Ma qualcuno.
giovedì 17 ottobre 2013
Etimologia semiotica illogica sentimentale
E’ notte fonda in questa libreria che non chiude mai.
E forse è la notte che mi fa volare tra le mani queste
parole.
Ma non è del libro che parlo.
Non adesso almeno.
In questo momento, ad esempio, ho capito che quando amo
troppo, non riesco a scriverne.
Non riesco a trovare i vocaboli giusti, i modi corretti e sufficientemente
pieni , colmi, devastanti per parlare dell’amore pieno colmo e devastante.
Lo sospettavo, ma adesso l’ho proprio capito.
Ma stanotte ho voglia di parlare di lei.
Per cui perdonatemi se non saranno termini sagaci, ficcanti,
inebriati. Li cercherò man mano, in questo viaggio.
Ne parlo come viene.
Innanzitutto chiariamo: io amo una donna.
Cioè se penso all’origine ed al senso vero non filtrato del
concetto e della manifestazione di amore, penso assolutamente e senza titubanza
alcuna a lei.
Cioè stanotte e tutte le notti ed i giorni che ho vissuto
sino ad ora, l’amore ha i suoi occhi.
Verde diamante.
Ma non verde come i miei o come i tuoi.
Verde solo come i suoi.
Ha il suo profumo, che
non è mai troppo dolce o troppo forte.
Non sa di sandalo o violetta o buganvillee o di cacao amaro
o di terra del deserto racchiusa in un cofanetto tutto a 19,99 €.
E’ il suo odore unico ed irripetibile che sa solo di lei e
che non è mai stato, non è, e non sarà mai di nessun altro.
Mi manca.
Ma è una cosa così banale che mi fa schifo quasi imprimerla.
Mi manca perché quando una cosa ti riempie è inscindibile da
te.
Per cui non voglio che questa pagina parli della banalità della mancanza,
ma voglio che sia piena della presenza.
Lei è una si sveglia sempre prima di tutti. Si leva prima
dell’alba stessa.
O forse non dorme mai.
Una volta da adolescente ricordo di aver letto una frase su
un muro che faceva circa il tuo destino
si sveglia sempre mezz’ora prima di te.
E ricordo di averle detto “ma allora tu sei pure più forte del destino?”.
Credo che lei abbia sempre avuto il sospetto che io fossi non proprio normale.
Ma non me l’hai mai fatto pesare.
Perché io la amo, ma lei di più.
Mi ama quando sbaglio. Quando mi vergogno.
Quando mi nascondo lei mi trova.
Quando stravolgo la mia vita, lei mi regala una raffica di
vento.
Ed una mantellina fatta all’uncinetto, 'chè soffro un po’ di
tonsille.
E lei lo sa.
Lei che ha asciugato le mie lacrime ma soprattutto ha
cercato lì dentro dei perché.
Mi ha regalato degli stivali bellissimi, una collana con dei
corallini rossi e la libertà di trovare da sola le risposte.
Lei sa lavare i piatti, accendere il fuoco, risolvere un
problema con i triangoli di Tartaglia, preparare la ciambella e seguire Cento Vetrine tutto insieme.
E la sera sul divano non si appisola.
Lei pensa.
E secondo me è vero.
Mi innamoro ogni giorno di più di lei e dei difetti.
Che sono suoi ma soprattutto miei.
Amare i difetti è un privilegio.
Mamma.
E’ ottobre.
Piove un po’, ma non
fa ancora freddo.
Hai preparato già il pranzo per domani?
Che fai?
Hai surgelato un po' di funghi per quando torno a Natale?
Ah, ti piace questa?
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d'amore.
Lo farei adesso, ma facciamo che
ti chiamo domani, va.
martedì 15 ottobre 2013
Il cuore ha più stanze di un casino
Non morire senza aver
provato la meraviglia di scopare con amore.
Fa freddo.
Di nuovo.
Adoro quando i mesi smettono di mentire e diventano giusti.
Io voglio mangiare le fragole quando è tempo di fragole
(adesso ogni volta che nomino le fragole ho paura di dover chiedere il permesso
a Vasco Rossi, ma vabbè-eee) ed i mandarini quando è tempo di mandarini.
Oggi ho preso delle mele, ad esempio.
Viaggio sempre in tram, ormai lo sapete, ma oggi mi è
sembrato davvero fosse lui.
Sul 4.
Di vederlo, intendo.
Vecchio, eccentrico, intellettuale squattrinato,
appassionato di musica classica, giornalista solitario e non particolarmente
brillante, da sempre ostile a ogni legame.
Era sul 4 e non sapeva se scendere o meno.
All’alba del suo novantesimo compleanno decide di concedersi
un regalo particolare: una notte d’amore con una ragazza vergine.
Abituato all’amore carnale, prende il telefono e chiama Rosa
Cabarcas e il suo bordello.
Scordatevi i grigi, i rossi , i neri e le sfumature.
Pensate a lei.
La ragazza prescelta.
Quella che per concedersi, razionalmente pronta al
sacrificio, ha dovuto esser sedata dal bromuro e dalla valeriana .
Lei diventerà per lui il suo unico, autentico amore di una
vita, cominciato e vissuto a novant’anni.
Forse in una notte, o comunque il tempo che ci han messo i
miei occhi a imprimersi sul libro.
Non so bene come si scopra un amore.
In realtà non ho ben capito se spetta davvero a noi scoprirlo.
Ho capito però che si può iniziare ad amare anche quando per
gli altri è tempo di morire.
Perché forse non si
muore quando si deve, ma quando si vuole.
Lui è quello dei Cent’anni di solitudine.
Ed io adesso, dividerei questa mela, fresca, comprata oggi.
Ed una birra.
mercoledì 9 ottobre 2013
Mamma, ma quanto costa una lacrima?
Odio iniziare con "quand'ero bambina" ma,
stavolta, mi toccherà farlo.
Dicevo, insomma, quand'ero bambina c'era una cosa che
proprio non capivo: perchè certi adulti capissero i bambini ed altri no.
Cioè che ti serve tutta quella fatica per diventare grande,
la scuola, i brufoli, i primi amori, le versioni di latino, le equazioni (si
chiamano così no?) di quarto grado se poi, da grande, non capisci i bambini?
La maestra Rosa ad esempio i bambini li capiva benissimo.
Raf il giornalaio era simpatico.
Ma certi adulti proprio no.
Ero una bambina strana.
E le cose non sono migliorate moltissimo col tempo.
Ah, e poi non mi piaceva e non mi è mai piaciuta Alice nel paese delle
meraviglie.
Cioè mi piacevano solo alcune cose, come le tazze da the del
Bianconiglio e le "Ooo" di fumo del Brucaliffo.
Per il resto Alice grande grande, Alice piccola piccola, il
signor serratura e le carte da poker cattive e taglienti mi hanno regalato solo
un po' di incubi ed il fatto di non saper giocare neppure a scopa.
Invece c'era un signore che mi piaceva un sacco.
Un signore che non solo capiva i bambini, ma che sapeva
raccontare anche delle storie bellissime.
Al telefono, tutte le sere.
Delle storie dove non c'era Alice, ma la meraviglia si: la
meraviglia e lo stupore incantato e libero dell'infanzia.
C'era un omino di niente, vestito di niente che viaggiava in
una strada di niente, che non conduceva da nessuna parte. Là i topi mangiavano
solo i buchi del formaggio e i gatti avevano artigli di niente.
Anche i muri erano fatti di niente e l'omino, che non ci
credeva, per troppo slancio passò dall'altra parte.
Ma anche di là non c'era niente di niente.
Poi c'era Alice Cascherina che cascava sempre dappertutto.
Come mio cugino da piccolo.
C'era quel grandissimo esploratore e viaggiatore di
Giovannino Perdigiorno e c'era una marionetta irrequieta, che non sopportava i
fili del suo burattinaio e che poi, un giorno....
- E che poi un giorno?
E poi....un giorno......
Se senti il telefono squillare ( e non è Tecnocasa e neppure
la Wind) magari è:
martedì 8 ottobre 2013
Io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere.
Non sono mai stata una fan.
Nel senso che, se fan significa essere una di quelle cose che
insegue un cantante per strada, o rompe la pace del silenzio di un ballerino
famoso mentre assapora il suo centrifugato di finocchio e mandarino al bar, o
che tallona un calciatore mentre compra delle mutande attillate da Tezenis,
ecco io non sono mai stata una fan.
Ma…
Immagina di essere in possesso di una matrioska.
Quindi abbandona la fretta di scoprire cosa viene dopo, e
soprattutto l’ossessione di scoprire perché dopo c’è ancora qualcosa.
Immagina poi il tuo piatto preferito, la tua panchina
preferita.
La tua coperta di lana più bella.
E pensa al tuo libro, quello che avevi in mano in quel
momento lì.
A quella pagina che ti ha creato un dubbio, una domanda,
una rabbia, una fitta o un sorriso.
Io per esempio, ad un certo punto della mia vita, avrei
voluto incontrare Gianni Rodari e chiedergli perché nelle sue Stagioni dice che anche quando viene l’estate
per i poveri è sempre inverno.
Ecco, hai presente?
Allora fermati, entra nel primo paninaro o nel primo sushi
che trovi (dipende dai tuoi gusti cibico-letterari).
Siediti sulla prima panchina sotto il sole.
Lettore, te la regalo.
Ti regalo tutto.
Ti regalo questo.
David Foster Wallace che mangia con le mani perché non sa agganciare
con le bacchette un pezzo di pesce crudo.
Khaled Hosseini
che ti presenta i suoi due bambini che parlano benissimo il farsi, oltre che l’inglese
e forse altre tre lingue.
Siri Hustvedt e Paul Auster che si amano da oltre trent’anni
nella loro Manhattan ma in quella stessa casa, insieme, non riescono a scrivere.
Tom Morris che si sveglia alle cinque del mattino e, con le
prime luci dell’alba, iniziare a scrivere, rigorosamente a mano, e prosegue
sino a quando riesce a sopportare la fatica di tenere in mano la matita che
scorre sulle pagine del suo amato block-notes.
Ti regalo delle curiosità da Novella 6000 scritte con la
sapienza di John Freeman.
Ti regalo soprattutto lei: la gran voglia di conoscerli
tutti, questi uomini e queste donne qui.
Lo sai leggere uno scrittore?
sabato 5 ottobre 2013
Donne ed elefanti non dimenticano
Oggi giornata meravigliosa per la vita della libraia che scrive.
C'erano i portici.
E quelli a Torino ci sono sempre.
Ma oggi erano di carta.
Erano il Po, la Dora, la Senna, il Tevere, l'Arno, il Tanaro, il Danubio, il Reno.
Tutti fatti di lettere e copertine colorate.
E per tutto il pomeriggio ho pensato a questo istante.
Perchè questo libro è un fiume che mi parte dalla pancia.
Quindi chiedo venia, ma ne scrivo così.
Come fiume.
Che cambio colore in base al tempo.
Che mi riempio degli occhi di chi mi guarda e dei detriti di chi getta.
Questo libro non è un libro.
Avevamo il mostro in casa e non ce ne eravamo accorti.
Questo è Sara, Michelle, Valentina, Shamila, Deborah, Anna, Francesca.
E' Marilia, che portava in grembo il suo bambino.
E' Lucia, che vivrà per sempre con il volto segnato dall'acido.
Questo non è una statistica Istat.
Questo è Ferite a morte.
Per chi della morte ci è morto e per chi ne vivrà sul volto, sul corpo e sull'anima sempre un pezzettino indelebile.
Ogni giorno.
Da leggere con occhi bagnati ed indignati.
C'erano i portici.
E quelli a Torino ci sono sempre.
Ma oggi erano di carta.
Erano il Po, la Dora, la Senna, il Tevere, l'Arno, il Tanaro, il Danubio, il Reno.
Tutti fatti di lettere e copertine colorate.
E per tutto il pomeriggio ho pensato a questo istante.
Perchè questo libro è un fiume che mi parte dalla pancia.
Quindi chiedo venia, ma ne scrivo così.
Come fiume.
Che cambio colore in base al tempo.
Che mi riempio degli occhi di chi mi guarda e dei detriti di chi getta.
Questo libro non è un libro.
Avevamo il mostro in casa e non ce ne eravamo accorti.
Questo è Sara, Michelle, Valentina, Shamila, Deborah, Anna, Francesca.
E' Marilia, che portava in grembo il suo bambino.
E' Lucia, che vivrà per sempre con il volto segnato dall'acido.
Questo non è una statistica Istat.
Questo è Ferite a morte.
Per chi della morte ci è morto e per chi ne vivrà sul volto, sul corpo e sull'anima sempre un pezzettino indelebile.
Ogni giorno.
Da leggere con occhi bagnati ed indignati.
venerdì 4 ottobre 2013
Tirando su col naso, come un vecchio rimbecillito
Secondo Miriam era
quella la mia vera passione. "C'è chi colleziona francobolli, o scatole di
fiammiferi" mi ha detto una volta. "Tu collezioni rancori".
Una cuoca non può non assaggiare il cibo che sta preparando.
Una libraia non può non aver letto il libro che ti sta
consegnando.
O comunque qui, cari, funziona così.
In questo caso questo ammetto di aver esagerato, quantomeno
nelle quantità.
Questo è un libro perfetto di sale, cottura, proporzioni,
punteggiature e riflessioni.
I figli, le mogli, i vizi, le malattie, un processo per omicidio: Barney Panofsky nella vita non si è fatto mancare nulla.
Dopo il suicidio della prima moglie, l'intervallo
di un secondo matrimonio (con una mezza matta isterica) e una terza, felice
unione la meravigliosa Miriam, che lo lascia dopo un tradimento, Barney è
solo. I figli, le mogli, i vizi, le malattie, un processo per omicidio: Barney Panofsky nella vita non si è fatto mancare nulla.
È solo con i suoi ricordi, malgrado gli amici, i nemici e i figli.
È solo con la sua carriera di autore di sit-com televisive alla Totally Unnecessary Productions.
È solo con le sue malattie (la prostata infiammata, la sciatica, l'enfisema) e l'amatissimo whisky.
Ora vuole dare la sua versione dei fatti, di tutti i fatti che l'hanno visto coinvolto.
Lo ha pungolato un amico-nemico che sta per pubblicare un libro che lo diffama.
La versione di Barney sarà cosi chiarificatrice come voleva essere?
Non importa.
Non è questo.
Entrate fisicamente e compratene tutti.
E boh….Grazie Mordecai .
Là, nel pozzo dei ricordi
Prendi dei frutti con dei nomi
strani, tanti amici, tanti libri, una suora, un prete che pesa cento chili, una
mamma e una donna, la tua donna, incinta, che non ami più.
Prendi Cristiano.
Prendi, oltre alla presenza, anche
l’assenza.
L'assenza del padre, la storia
più importante di tutte, esorcizzata con una miriade di altre storie e di
presenze.
Senza un padre non si cresce,
senza un padre non si è: la vita di Cristiano è uno sforzo continuo per
riempire quell'assenza e costruire un'alternativa.
"Avevo impiegato trent'anni a costruirmi quel babbo tutto mio, ed
era implacabile, era D'Artagnan, Sandokan, Tom Sawyer, Jean Valjean, il conte
di Montecristo. Era pieno di ricordi di tutte le persone che avevo vissuto fino
a quel momento, era sempre con me, indomabile come Cirano."
Adesso mescola bene.
Tutto il libro si avvita attorno
a una metafora: l'idea del "frutto dimenticato".
Ogni autunno a Casola Valsenio,
il paese natale di Cristiano, si celebra la festa dei frutti dimenticati.
Piante ormai sconosciute, come le azzeruole, le giuggiole o le pere volpine.
Perché salvare questi frutti
dall'oblio?
Non so.
Perché è necessario, forse?
Avete in mano un’autobiografia
ragazzi che non è coniugata né al passato né all'imperfetto.
Che ha il sapore del presente e
del futuro.
Come quei frutti, dimenticati ma
non del tutto.
Ancora. Ancora una volta
Un’America diversa.
La sento così mentre ho questo
libro tra le mani.
Un’America non fatta di aperitivi al tramonto su terrazze di
Manhattan, di architetti d’interni e di donne impegnate in shopping.
“Non
mi riconoscono certo al supermercato”, diceva lui al primo giornalista che lo intervistò per un
giornaletto locale quando nel 1976 fu pubblicata la sua prima raccolta di
racconti, Vuoi star zitta, per favore?
Eppure, con i suoi pochi libri,
una dozzina in tutto, è diventato un punto di riferimento indiscutibile della
letteratura americana del Novecento.
Sicuramente un destino
imprevedibile per il figlio di un falegname dell’Oregon.
Un’ America lontana dai
grattacieli, un paese dove le bollette non vengono mai pagate, dove le coppie
litigano, cercando di tirare a campare, i mariti bevono e le donne si
disperano, ma popolato in fondo di “brava gente, gente che ce la mette tutta”.
E qui seduta, osservando la signora
indecisa tra le novità editoriali e le edizioni tascabili, leggo lui, che con
la sua Le dita del piede mi ha fatto
comprendere come un collant possa trasformarsi in un calzino, una gamba atletica
in un peso da trascinare, ma come la voglia resti sempre simile a se stessa.
Un uomo che fa della sua poesia
una dichiarazione d’amore alla vita.
Un uomo consapevole della sua
malattia che non si vuole arrendere.
Che vuol sentire ancora, ed ancora
una volta
Una
bella voce, un tocco
sulla
nuca, addirittura
uno
sguardo di sfuggita. Qualsiasi cosa!
Lui è Carver, signori.
Scopritelo con mano ferma e cuore vibrante.
Io so dov’è, adesso.
Era Broadway. Era il 1996.
E, se chiudo gli occhi, sento l’odore del palco anche
qui, tra queste mura rosse e di mattoni.
Lei decise così di raccogliere la testimonianza di
duecento donne di tutte le età, razze, classi e professioni.
Voleva parlare del non detto.
O meglio, parlare del già detto in modo nuovo e vitale.
Parlare del dolore, della fame.
Parlare.
Dell’orgasmo dell’amore e del sudore della paura.
Della violenza sulle donne.
Credo che ciò che non
si dice non venga visto, riconosciuto e ricordato. Ciò che non diciamo diventa
un segreto, e i segreti spesso creano vergogna, paura e miti.
E' una storia seria, divertita, choccante, fantasiosa
e drammatica.
E’ allegra, è triste, è disinibita, timida,
esuberante, schiva, vanitosa, passionale, violata.
E lei. Siamo noi.
Storie di donne ma non solo per donne.
Perché se noi veniamo da Venere e lui, il maschio, da
Marte, questo libro è un bel biglietto andata e ritorno da
regalare, per un viaggio che vale comprensioni e misteri di una vita.
giovedì 3 ottobre 2013
In un boccone ed in un sol fiato
Napoli. Una donna. Sette racconti.
Nulla di statico, o di lontano.
Non c’è la pizza o il mandolino o il mare da cornice.
Anzi.
Un susseguirsi quasi febbrile di eventi, di storie, di sensazioni.
“Se io fossi andata dove mi portava il cuore, sarei rimasta incinta a tredici anni nell’ape di Totonno il pezzaro”.
Realtà, cinismo ed ironia, tutto sapientemente racchiuso in poche, pochissime pagine.
Che senti il lutto del distacco troppo velocemente.
La prima volta era il 2003.
L’ultima l’inverno scorso.
Chissà se Totonno, nel frattempo, s’è sposato.
E la tigre sulla schiena
Ci sono delle cose che possono cambiarti la vita.
Che condizioneranno il tuo io futuro per sempre.
A me è successo, non tantissime volte, ma di sicuro cinque o
otto.
La prima, quando ho scoperto quanto fossero dannatamente
buoni insieme i gusti crema e pistacchio.
La seconda quando ho accettato il concetto di disordine,
smettendola così di violentarmi.
La terza è stata lui. Sicuramente lui.
Ad un certo punto, e
non so più da dove sia sbucata, mi è venuta l'idea che avrei dovuto diventare uno
scrittore. Forse potevo scrivere le parole che non avevo letto, forse così
facendo mi sarei scrollato dalla schiena quella tigre.
E’ una cosa che non si può spiegare.
E’ come se in un attimo capissi che c’è ed è lì tra le tue
mani, una chiave di lettura.
Che c’è ed è esistito, in un tempo che solo quelle lettere
stampate possono far rivivere come un eterno presente, qualcuno, in un angolo
di mondo, che respirava e scriveva in modo inscindibile.
Non è un libro per sobri, sappilo.
Ecco. Se sei uno da degustazioni di champagne, non è ancora
il tuo momento.
E’ un libro per scalatori.
Per corridori.
Per nuotatori folli.
Per bevitori di birra.
Per quelli anzi che sanno correre, bere e scalare insieme.
Lui è Charles.
E se lui è un Codardo, allora io sono bionda
Infinità finita
Era il 2005.
Ricordo esattamente il giorno.
Era l’ultimo anno dei miei studi pisani.
C’è un momento ben preciso in cui un uomo deve fissare gli
attimi sulla carta.
Ricordo di aver
pensato questo mentre leggevo il suo libro in piazza santa Caterina.
Il racconto di un uomo nel suo delicato rapporto col tempo e
con la memoria.
La ricostruzione di tasselli che riconosci essere tali solo
quando ti fermi, solo quando ti concedi il lusso di pensare.
Per ragione, per noia.
O per dolore.
Il dolore di una morte improvvisa e la nascita di un “libro
della memoria”.
La pace tra un padre ed un figlio che va oltre la carne ed
il tempo.
Paul è il figlio, che cerca le tracce di un uomo che sembra
non avere storia, che sembra non aver lasciato nulla prima, durante e dopo di sé.
Gli attimi son tutti qui.
Nell'invenzione della solitudine.
E nella sua accettazione, lontano dal rumore dei giorni.
Prima di ogni urlo, in fondo, c’è un silenzio.
Il libro del pescatore
- Buongiorno signora
- Buongiorno
- Senta vorrei fare un regalo
- Che genere le interessa
- Non so guardi, io non sono una lettrice
accanita, ma vorrei un libro con dentro un po' di tutto
- Un libro con dentro un po' di
tutto...Mmmm...Forse siamo sul secondo scaffale, lì, a sinistra...
Lui è un pescatore di parole, un
raccoglitore di storie.
Questa volta la storia ha un nome proprio
di persona: Irene.
Nel greco imparato al liceo esisteva la parola eirene, a indicare una
pace.
Le dettero quel nome dopo la tempesta.
Lei parla con gli occhi e con i gesti.
Dopo “I pesci non chiudono gli occhi”, un'altra storia di mare e di
onde.
E di occhi da pesce, come quelli tondi, di Irene.
Sordomuta per il mondo, forse non per
tutti però.
Irene nuota di notte, perché di
notte i segreti si nascondono più facilmente.
- Vede signora, dentro c'è un po' di
tutto. Ci sono anche i segreti
- Lo prendo
Lo prenda.
Da assaporare lentamente, a mare
o sul divano di casa, o sul tram che ti porta a lavoro.
Le onde, alle volte, sono ovunque.
mercoledì 2 ottobre 2013
Leggere parole leggère
Era il nome della mia libreria.
Cioè della libreria della mia testa.
Quella fatta con una scala in legno appoggiata al muro dell'entrata. Con le pareti un po' rosse e un po' con i mattoni.
La libreria che ho deciso di avere vent'anni fa. Ed anche il nome è di vent'anni fa.
Ma se una cosa dev'essere, e deve esistere, deve essere ed esistere per quello che è, nella sua sostanza e nella sua forma.
Ed allora scriverò e leggerò qui.
Inizierò da qui.
Da questa libreria.
Aperta in un autunno qualunque.
Dalle foglie un po' rosse e un po' arancioni.
Come le mura della mia testa.
Proprio come quelle lì.
Cioè della libreria della mia testa.
Quella fatta con una scala in legno appoggiata al muro dell'entrata. Con le pareti un po' rosse e un po' con i mattoni.
La libreria che ho deciso di avere vent'anni fa. Ed anche il nome è di vent'anni fa.
Ma se una cosa dev'essere, e deve esistere, deve essere ed esistere per quello che è, nella sua sostanza e nella sua forma.
Ed allora scriverò e leggerò qui.
Inizierò da qui.
Da questa libreria.
Aperta in un autunno qualunque.
Dalle foglie un po' rosse e un po' arancioni.
Come le mura della mia testa.
Proprio come quelle lì.
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