lunedì 25 novembre 2013

Dei sogni nel cassetto al tempo dell'Ikea

Domenica scorsa sono stata all’Ikea.
A 3 anni sognavo di disegnare un cerchio perfetto con un unico tratto. Come il tizio sulla confezione di matite colorate. E di riuscire a lavar bene le mani senza lasciare troppe tracce delle mie avventure pennarellistiche.

A 5 anni, di poter correre a perdifiato senza soffrire di epistassi (altrimenti detta emorragia nasale) che invece, ahimè, mi colpiva senza preavviso. Bastarda. Io a scuola materna ero quella che“Natalia non stare troppo al sole. Vedrai che con lo sviluppo questa cosa ti passerà”. Volevo essere una bambina normale. Ero invece quella che stava all'ombra guardando gli altri, fantasticando su cosa fosse "lo sviluppo".

A 10 anni sognavo di scrivere un libro. Come Jo di Piccole Donne (io sono, in realtà, Jo) (Non ridere)

A 13, di compiere un’importante scoperta archeologica. Come quelle raccontate da Piero Angela. Non mi perdevo mai una puntata di Quark. E scrivere un libro. Con la Olivetti di mio nonno.

A 16, scoprire i misteri della mente umana. Come Freud. E scrivere un libro. Come Pirandello. O come Kafka.

A 18, eliminare le ingiustizie sociali. Come Martin Luther King. E scrivere un libro. Come Pasternak. E comprare un parca verde.

A 20 di laurearmi in legge, imparare la Costituzione a memoria e diventare un po’ Perry Maison, un po’ Ally McBeal, un po’ Gaber e un po’ Salvatore Dalì. Che apparentemente non centra nulla. Però aveva dei baffi stupendi. E scrivere un libro. Come Foster Wallace. E come Cassano.

A 27 di essere donna senza doverlo urlare, di poter re-imparare a muovermi nel mondo camminando senza ombrelli, che tanto li dimentico nel primo bar. Senza rabbia, né rancore, ma con fossetta attaccata sulla guancia. E pure di poter piangere su un autobus senza dovermene vergognare. Di sorridere. E di scrivere un libro. Come Toni Morrison. ( E mi pare che quando c’avevo ventisette anni o giù di lì pure la D’Addario. Vabbè)

Adesso sogno di varcare l’uscio di casa ( e già questo è fico perché significa che ho le chiavi) abbandonare la borsa gigante a terra e gridare “amoreeee sono torn……..”

E scrivere tanti fogli da raccogliere per non fare troppo casino che la casa è piccola e la scrivania pure e….

Sono andata all’Ikea.
Mamme, per favore, lesson number five: un passeggino è un passeggino.
Non è un’arma impropria da utilizzare per farsi spazio tra i corridoi dai percorsi obbligatori indicati da frecce di gomma colorate.
Non è neppure un carrello in più.
Per cui tra un figlio sfinito ed un lenzuolo a righe KoprituttaKasa, per favore, date priorità al primo.
Salvo indicazioni contrarie dettate dalla bellezza del lenzuolo.

Cari papà: far finta che tutto ciò non accada o che non esista o che non sia mai esistito perché voi c’avete ancora 12 anni ed in quel momento non siete all’Ikea, ma sul campo di calcetto con Gino imitando Mazzola, è illogico ed immorale. Seppur bellissimo.

Mi servirebbe una cassettiera, un armadio con dei cassetti, un comodino con dei cassetti.
Che c’ho troppi fogli e troppi sogni tutti insieme, tutti mischiati in casa e per strada. E non ci stanno.
E la casa è piccola.
E la strada è piccola.
E bisogna far ordine.
Tra l’altro è ancora tutto un po’ di qua e un po’ di là.
Sul divano, per esempio, adesso c’è lei:

“Lo so, sembra niente, ma per me già capire che pullman devo prendere, dove passa e come arrivarci è un lavoretto”



martedì 19 novembre 2013

Con il cuore a serramanico

Non ho più paura di me.
Cioè, mi spiego.
Capita sempre quella mattina sbagliata in cui ti svegli con le occhiaie, il brufolo sul mento ed i capelli totalmente impettinabili che Pantene hydra liss-col-cazzo-che-funziona.
Ma
Non ho più paura di me.
Ti svegli, quella stessa mattina lì e quella te lì non la scacci più con un colpo di fondotinta ed una calzamaglia di sorriso impermeabile.
Ne accarezzi gli errori, ne apprezzi le nottate insonni.
Deridi un po' quelle ansie, come fa una vecchia zia. La guardi allo specchio e, senza parlare troppo, le lanci uno sguardo del tipo "quando sarai grande capirai".
Non ho più l'ansia di colmarmi ed i vuoti non sono più vuoti d'aria, nè a rendere, nè a perdere.
Magari non vincono, ma manco perdono, ecco.
Ecco.
Non digrigno più i denti per una lacrima. Non chiedo scusa prima di parlare, semmai dopo.
Non corro in cerca di certezze nel futuro, cammino.nel presente e faccio, e disfo, e sogno, e lotto e mi indigno e faccio pace e spero.
Non ho bisogno di sentirmi dire che mi ami, mi basta sentirlo.
Faccio me, adesso, insomma.

Andrea De Carlo mi direbbe una cosa tipo
Lo so come ti senti. È come essere dietro un vetro, non puoi toccare niente di quello che vedi. Ho passato tre quarti della mia vita chiuso fuori, finché ho capito che l'unico modo è romperlo. E se hai paura di farti male, prova a immaginarti di essere già vecchio e quasi morto, pieno di rimpianti.

Non ho paura.
Credo.


martedì 5 novembre 2013

Coiti interrotti

Entrano ed escono come si fa in rosticceria.
Le persone.
Nella vita, nei rapporti e in questa libreria fatta di pagine e di aliti impalpabili.
La gente.
Alle volte, da seduti, sembra di vivere la vita a metà.
Da metà vita in giù, intendo.
Come i giornalisti, quelli seri, con il tailleur blu o grigio coda di volpe di Londra, che si vedono in tv.
Che magari sotto la giacca sono in mutande.
Clemente Mimun potrebbe avere, ad esempio, solo i boxer di Natale di Calzedonia. Quelli che suonano al centro e che stonano anche il più banale dei Jingle Bells.
O Lilly Gruber indossare tutti i giorni una scarpa viola ed una gialla, e tu non lo sapresti mai e forse non lo saprebbe neppure lei.
C’è chi crede che dalla vita in giù non ci sia nulla.
E’ una vita di mezzi busti che aspettano delle gambe per correre da qualcuno.
Da quelli che entrano.
Entrano, sbriciolano panini e parole a caso su questa scrivania, alle volte un ciao, un buongiorno.E se ne vanno.
Ti chiedono come si intitola l’ultimo di Fabio Volo, se in famiglia è tutto ok . E se ne vanno.
E’ una vita di coiti interrotti vissuti dalla vita in su.
Pensa un po’.
Che leggi la trama degli altri non negli occhi, nelle loro strette di mano o nei vaffanculo durante un litigio, ma nei quarti di copertina.
Di cosa ti lamenti?
Se non sai capire la differenza tra un ti amo e un non ti amo più, solo perché non è scritta in una mail.
Cosa vuoi?
Se la vita ti dev’essere spiegata come fosse la legenda del Monopoli.
E la mancanza non la capisci solo perché anche un mezzo busto fa presenza.
E non comprendi la differenza tra un mezzo busto e un busto intero. Con le gambe pronte a correre.
Come si fa a non capire?
E’ così che funziona.
C’è chi i libri li legge e chi li scrive.
Chi gli arancini li sa filare, e chi li compra già unti in friggitoria.
Chi il pesce lo pesca e chi compra il merluzzo Findus.
E poi lì, in mezzo, ci sono un sacco, una miriade, una infinità, di sfumature, di colori.
C'è chi i libri non li scrive e non li legge, ma li compra soltanto.
Chi non ama la frittura e neppure gli arancini (lo so, è inspiegabile, ma c'è anche sta gente), chi il pesce non lo pesca ma odia i surgelati e quindi lo va a mangiare direttamente in Norvegia.
C’è un sacco di roba in mezzo, capisci?
E non sempre c’è il quarto di copertina per tutti.
Quindi bello mio, levati le scarpe di pelle sottile biodegradabile, lasciale sulla riva del tuo mondo perfettamente finto ed inutile che fuori c'è pioggia. E' Novembre.
Fuori ci son pozzanghere coperte di foglie secche, piscio di cane ai bordi. Ci son mozziconi di sigaretta gettati di fretta prima di salire sul tram. C'è sole che scalda e vento che penetra.
E devi ballare, camminare o correre per come viene.
C'è terra lì fuori, ci son scelte da fare e strade da percorrere, e non ci sarà sempre qualcuno pronto a prenderti in braccia per evitare che i tuoi pieni umanissimi si sporchino lì in mezzo.
O sai vivere o no.
Oppure puoi decidere di restare lì, dentro la teca dei ricordi, dove John Lennon e Lou Reed sono ancora vivi e mangiano insieme un kebab parlando di donne.
O sai vivere o no.
Lì non c’è sfumatura che tenga.
E non a tutti i perché c’è una risposta.
C’è chi lo sa fare e chi no.
Sono le differenze, mio caro.
Quelle spaventano i mezzi busti e che nutrono chi vive, così.

In piedi.

Amo ciò che di tenace ancora sopravvive nei miei occhi, nelle mie camere abbandonate dove abita la luna e ragni di mia proprietà e distruzioni che mi sono care, adoro il mio essere perduto, la mia sostanza imperfetta.