lunedì 17 ottobre 2016

La pratica del "consenza"

Dipendiamo dall' approvazione degli altri prima ancora di averne memoria.
Nasce tutto dalla grande corsa degli spermatozoi.
Su tutti quelli che garaggiano ne vince uno, e tutti lì a batter le mani, dal ginecolo alla nonna alla signora del mercato che sa già se sarà maschio o femmina con la sola imposizione delle mani e forza del pensiero.
Evviva! Bravissimo!
Ma perchè gli altri no? Che è sta cosa? Uno non può avere uno strappetto muscolare prima del traguardo che viene declassato ad inutile senza neppure una misera spiegazione?
E se quello lì era dopato? Gliel'avete fatto il test?
No, non quello che poi escono le due liniette blu. Facile quello. No. Dico quello per vedere se era pulito!
Vabbè.
Dipendiamo da un battere di mani e da incitazioni perenni.
Che brava, hai fatto la cacca!
-Bravissima hai detto pa-pà
- No,guarda che ha detto ma-m-ma. L'ha pure sillabato. Che deve fare per farti capire che ha detto mamma? Disegnartelo? Tutti i bambini dicono mamma. Ha detto mamma, no? L'avete sentito pure voi. No?
Che brava ha fatto i compiti!
Che brava non li ha fatti perchè suo padre ha scritto alla maestra che era impegnato a vivere e quindi pare che se vivi va bene così!
Che brava, ha sistemato la cameretta!
Se fai la brava ti preparo la ciambella!
Che brava, hai mangiato tutto.
E ci affanniamo, continuamente, a recuperare terreno sul grande pianeta del consenso, perchè guai a non avere quella medaglia lì.
E che siamo noi, figli del pezzaro?
Daiii su! Guarda che ti sto lasciando! Vaiii vaiii si si siiiii! Stai andando da sola! Su due ruote! Bra-vi-ss-ssssima
Avevo 29 anni quando questa frase è stata rivolta a me.
Vabbè, anche qui.
E' che ti abitui così radipamente a stare con/dalla parte del gradimento che senza ti sembra impossibile.
Eppure.
Dopo il Nobel a Dylan vorrei che fosse istituito il Nobel da assegnare a chi ti ama quando te lo meriti di meno.
-Non hai fatto la cacca, pazienza. Brava. To' ti do'quei kiwi. Li vuoi quei kiwi, che così risolviamo il problema stitichezza ed introduciamo anche una originalissima battuta a 'sto pezzo?
- Non hai detto nè mamma nè papa? Vuol dire che sono persone poco interessanti. Prova a dire, che ne so, suca. Su-ca. Ti tornerà utile nella vita. Quasi quanto mamma e papa. In alcuni casi pure di più.
- Non hai mangiato le fottutissime verdure bio di tua madre? Scappa dalla finestra e vediamoci al Mc. Tanto, cara madre e cari tutti, sappiatelo: anche i figli di Cracco passeranno dal Mc, a 12 anni, rassegnatevi.
Si respira un'aria diversa senza il fragore del batter di mani.
Un'aria più comoda e più facile da respirare.
Più simile a come sai respirare tu.
Io per esempio a volte respiro a bocca aperta. So che non si fa perchè i peli del naso servono a catturare il pulviscolo atmosferico e i microbi e i virus ed invece con la bocca ti entra tutto dentro.
Guardavo Siamo fatti così da bambina e se respiravi con la bocca ti entravano in corpo delle cose verdi che poi gli uomini con la barba bianca combattevano.
Ed in fondo a me piace pensare che i miei continui sbalzi d'umore dipendano dal fatto che dentro di me ho una comunità vivente di gente con la barba Bianca, o tutti rossi,o cattivi e gialli che si muovono a piedi ma anche in macchina, che io neppure conosco e che condizionano il mio agire.
La chiave di tutto non la conosco.
Perdo le chiavi di casa, fuguriamoci le chiavi del tutto.
Però forse essere "con-senza" e non necessariamente "consenso" potrebbe aiutare.
A non sentirsi persi quando poi tutto intorno è silenzio e bottiglie vuote e confezioni di pop corn lasciate a metà.
Che a batter le mani son bravi tutti.
Son le pulizie dopo quelle che ti devi smazzare da sola.


martedì 30 agosto 2016

Non partire

Se non sai andare via, non partire.
Se non sai ritornare, non partire.
Se non sai calare con maestria sugli occhi i tuoi lucenti occhiali da sole al momento giusto, resta.
Se non hai studiato il manuale " I mille modi per deglutire", non partire.
Se non sai contare i giorni che ti separano dagli abbracci, non lo fare.
Se pensi che un sorriso valga poco più di quello di un altro, non muoverti.
Se invece sei ancora lì, con la mano sul finestrino del tuo treno, ecco.
Fai una foto al verde dei tuoi alberi e scappa.
Fai un bagno, lascia che il sale ti si incolli addosso e poi voltati.
Non indugiare. Non serve.
O serve a poco. Alle piccole penne ed alle loro confessioni.
Riempi la tua valigia senza piegare accurratamente nulla.
Metti dentro tutto quello che vuoi portare e non dimenticare di dimenicare volontariamente una cosa che vuoi ritrovare.
Lascia le tue molliche per ritrovare la strada.
Non voltarti e, se lo fai, fallo solo per sapere che quella strada lì c'è, e ci sarà sempre.
Vivi il presente ovunque tu sia, ma non aver timore dei tuoi timori.
Non raccontare questo a chiunque.
Potrebbero prenderti per matto, nostalgico, visionario, malinconico o pazzo.
Che dio non voglia che tu possa affidare le tue molliche al becco di chiunque.
Cala i tuoi occhiali, deglutisci la tua saliva e lascia le tue molliche.
Chi non lo capisce non sa.
Chi non lo capisce non potrà saperlo mai.





martedì 31 maggio 2016

Promozione

Nel tardo pomeriggio, quasi preserata, di ogni dannatissimo giorno della settimana corro, con passo poco sportivo ma molto determinato, a prendere/recuperare mio figlio al nido.
Uno di quei nidi fighi, con le maestre sorridenti che cantano per ore ed ore in italiano ed inglese.
Quando mi han chiesto che canzoncina amava Giacomo, io ho canticchiato quella che lo fa scassare che fa"iettala a mmara, lu piscia, lu cana, lu cana muriu"....etc, però boh, non è inglese e manco italiano.
Forse non l'hanno capita.
Ed ogni dannatissima volta, nel tragitto, mi imbatto nelle mamme e nei bambini di tutte le scuole elementari e medie adiacenti (almeno tre).
Ieri è stato tutto particolarmente difficile.
Ero in ritardo, Giacomo mi mancava che mi sfriggeva il petto, iniziava a piovere (ormai sta andando avanti così da giorni) ed avevo il cellulare completamente senza soldi e scarico.
In più mi è apparsa in testa la fotografia del frigo.
Il vuoto. Il nulla. Il deserto.
Serata difficile, molto.
Mi era sopraggiunto il grugno pensoso/incazzato che mi sopraggiunge appunto quando sono pensierosa ed incazzata, che mi fa sgranare un po' più gli occhi e mi serra il labbro inferiore.
Un cesso insomma.
E, mentre ero in sta condizione, sento una vocina smielata e stridula "mamma, per la promozione allora ho deciso, voglio la play 4, con tale gioco (dice un nome in inglese che credo faccia ballare la bambine simulando i balletti di qualcuna che sgambetta nello schermo). "Ginevra, va bene, ora salta in macchina che piove, su".
Ginevra salta in macchina ed a me buuuum, mi è apparsa, accanto all'immagine del frigo di prima, l'immagine di mia nonna Lina, che ad ogni pagella, si avvicinava a me come se nascondesse un segreto solo per noi e, dal petto, tirava fuori una carta da dieci mila lire dicendo "attì, veni ca. Accacati a gelata".
Il tutto era inserito nel mio meraviglioso contesto che accompagnava ogni buon voto con parole del tipo " Brava, hai fatto il tuo dovere".
Per cui a me sta cosa da a gelata mi sembrava di meritarla abbastanza, come la birra per i muratori a fine lavoro.
Col tempo avrei voluto dirle "nonna guarda che ti fregano, cambia bar, il gelato non viene dieci mila lire, viene un sacco di meno.
Però a me ricevere i soldi, alla fine, piaceva.
Forse dentro la me bambina era già chiarissima l'idea che l'unico TFR possibile per me sarebbe stato il Tua Famiglia Regala, tu prendi.
Quindi decisi di mantenere lo stretto riserbo sul reale costo da a gelata .
Poi per me giugno era fatto di vestitini più leggeri, di giornate che si allungavano e dal fatto che potessi restare in villa fino alle otto di sera a vedere se quello più grande che mi piaceva sbucava da dietro l'angolo o no.
Non avrei mai chiesto come regalo una cosa dal valore di 400 euro per stare, a giugno, chiusa in salotto a ballare.
A giugno? In Casa? Fossi matta.
I miei genitori mi avrebbero riso in faccia. ma comunque, che ve lo dico a voi, a me non sarebbe piaciuto.
Io volevo solo avere un rossetto leggero da mettere di nascosto sotto il portone, un'amica con cui chiacchierare e leggere i Cioè sul muretto, una bella canzone da imparare a memoria.
E ballare. Quello si. Ballare in camera imitando Lorella Cuccarini.
Però poi uscire.
E ricordarmi di togliere quell'orribile rossetto rosa pallido prima di tornare a casa.
Tiè Ginevra, veni ca. Tiè, sono due euro e cinquanta. Se ti chiedono di più ti stanno fottendo.
Accatati a gelata.

venerdì 29 aprile 2016

Colazione immaginaria con l'autore. Quattro Domande Leggère (senza burro,grazie). Gli ESERCIZI DI MERAVIGLIA di Vittoria Baruffaldi.

Vittoria Baruffaldi
Esercizi di meraviglia
2016
Super ET Opera Viva
Giulio Einaudi Editore
pp. 138
€ 13,50

Avremmo dovuto sederci. Prendere un caffè come si confà a due signore.
In Piazza Vittorio, o che so io.
Parlare della scrittura, del tempo, forse anche della miscela del caffè.
Forse lo faremo. Di sicuro, anzi. Ma non oggi.
Oggi inauguriamo la rubrica della "Colazione immaginaria" (leggi: come rendere fico il mio essere incasinata, il suo essere colma di impegni ed il fatto che la giornata ha 24 ore, ma per finta).
Io sono io. Lei è lei, Vittoria. E lui è un libro. Un manuale. Uno specchio. Un prontuario.
Esercizi di meraviglia.
Difficile definirlo ed in fondo chi ha detto che bisogna definire tutto per forza?
Ho capito già dalla terza pagina che ne sarei rimasta affascinata, quando ho letto "Perchè essere madri significa reimparare lo stupore, è un esercizio di meraviglia".
E' stato toccante quel frammento che ha reso palpabile l'impalpabile.
Una frase e ti ritrovi a toccare stupore, a cercarlo negli occhi, nelle cose, tra le mani.Sfregando il naso di tuo figlio contro il tuo.
Il libro è dedicato alla sua Penelope, ma Penelope è un po' la rappresentante d'istituto della scuola di vita dell'esser bambini, dell'esser figli.
Esercizi di meraviglia è una danza armoniosa tra ciò che si vive dall'istante successivo al test di gravidanza positivo e Socrate, Talete, Pitagora, Sartre, Rousseau.
E' il dialogo tra il corpo ed il pensiero, un' alternanza di pappe, latte, pannolini e concetti, il tutto mescolato con le sue parole, quelle di Vittoria, e la sua penna intelligente.
Alzi la mano chi, sin dai primi di giorni da "donna con la pancia", non è stata attaccata, assalita, accerchiata da quelle che "ma come, non lo sai? ma come fai così?".
Io ne ho avuto una schiera. Arrivata al nono mese le riconoscevo a distanza, le fiutavo.
Ma allatti? E quanto ? E come? E il corso pre-parto? Aaaa vedrai le colichetteeee
Solo che a me accentuavano la nausea. A Vittoria no. Lei batte tutti a colpi di Kant.
"Non conosci tuo figlio, quindi, e lui non conosce te. Eppure vi siete amati dal primo istante, sotto una lampada ospedialiera, tra sangue sudore e lacrime, come in un romanzo d'appendice".
E' così. E' esattamente così.
Essere madri non è solo la famigerata "magia della maternità". Essere madre è difficile.
Essere madre è occhiaie. Essere madre è magliette dallo scollo slargato a furia di tirarlo giù.
Però essere madre è.
Un nuovo inizio. Una rinascita.
"Per rinascere bisogna passare da zone d'ombra a zone di luce; attraversare il nulla. Spogliarsi dalle sperenze altrui, come un bambino che scappa in giro per la casa nudo e libero, fino a riconoscersi davvero per quello che si è".

Ore 09:10
Lascio squillare. Risponde subito. Volevo dire di essere Natalia di Cavalli e Segugi, ma questo non è Notting Hill e soprattutto lei ha il mio numero memorizzato quindi non funziona. Partono le quattro domande.
- Allora, Vittoria, ti è mai capitato di "cadere in un pozzo mentre osservavi le stelle" come in quell'aneddoto di Platone su Talete?

Si, certo. La maternità è un'esperienza forte, fantastica e difficile. Ha due dimensioni: quella fisica e quella metafisica. E non parlo solo della mia esperienza personale, ma è un'esperienza diffusa, condivisa da tutte coloro che affrontano questa nuova vita. Non si può non cadere. Ma ci si rialza, sempre.

- Quando passa, se passa, il sentirsi " gemelli della paura" nell'essere madre?

Secondo me non passa mai. La paura inizia a sorgere quando sai di aspettare un bambino. Paure irrazionali come "sarò brava?" "saprò star con mio figlio tutta la giornata da sola?". Poi si evolvono, ma non passano.
Secondo me la paura va accolta, non occorre necessariamente sempre sfuggirla. Non è quasi mai un sentimento univoco, perchè può portare anche delle forze inaspettate, delle risposte. Bisogna tenerla un po' in braccio, ecco. Come si fa con i neonati.


- Ok, ho letto il tuo libro d'un fiato e tutto tutto, fino in fondo, ma non ho trovato i ringraziamenti. Giuro. Vuoi farlo ora?

Ridiamo

No è che in realtà io sono molto pudica con i sentimenti. Li tengo nella mia sfera privata. Ho abbracciato tutti i miei amici, ho abbracciato e ringraziato tutti quelli che hanno lavorato con me e per me. Son stati tanti e tutti bravissimi. Ecco, io ringrazio così, nel privato.

Quarta ed ultima domanda

- Le tre cose a cui pensi prima di andare a dormire.

Io la notte cerco di non pensare, di non arrovellarmi troppo in realtà. Leggo, si.
Ah, e scivolo di là da mia figlia. La guardo dormire. Quello mi mette in pace anche con la giornata più dura. Si, scivolo di là e penso ai suoi sogni, ai sogni dei bambini.


"Il segreto , dunque, sta nell'agire come se si credesse. E per una madre questo significa agire come se credesse che la vita, per suo figlio, sarà felice".

Ho deciso di tatuarmela sta frase.
Grazie Vittoria.


venerdì 15 aprile 2016

Per non perdere il segno

Sarebbe facile se funzionasse sempre come per i libri.
Leggi ovunque, in tram, sul treno, sul cesso, sull'uscio della soglia da varcare, poi bo succede qualcosa, hai un imprevisto, ti squilla il telefono o ti citofona il postino e tu fai una linguetta in cima alla pagina, per non perdere il segno, chiudi il libro, fai quello che devi fare, ritiri la raccomandata, è una multa, cavoli, vai la paghi, torni e quando riapri il libro, tac, linguetta e pagina.
Facile.
Come tutte quelle volte che tornavo dall'Università allora il primo cappuccino era da Joe, e sapevo già che mi avrebbe chiesto "how are you?", sorridendo tra i baffi, con quella voce che adesso che ci penso ricordo perfettamente, ed allora io avrei risposto sorridendo "I'm fine, thank you. And you?". E poi continuava ancora un pochino, lui mi preparava il cappuccino, senza fretta, parlando di me, delle città, dei pensieri, che se volevo per il giorno dopo il cornetto al cioccolato glielo dovevo dire, me l'avrebbe messo da parte.
Era il suo modo, uno dei tanti, per dirmi che mi voleva bene. Avrei fatto la linguetta su quella pagina lì, per aprirla ogni volta, ed ogni volta ancora, al mio rientro.
Ho imparato qualche parola in inglese in più, sai? Ah, quel viaggio a New York è stato fantastico. Avrei voluto parlartene.
Ho fatto come mi hai detto tu: quella tessera che valeva una settimana per visitare più musei. Avresti dovuto saperlo ed io avrei dovuto dirtelo.
Libro. Linguetta. Tac.
Ogni volta che riparto, scorrerei in avanti tutte le pagine dei saluti.
Tanto so la scena che viene, che scena è.
La scena dei magoni mascherati.
Il bacio alle nonne del giorno prima, che ti abbracciano come se volessero strapparti un pezzettino di maglietta, o farti cambiare idea.
O che sali con nonchalance sul treno, quella nonchalance che ormai hai perfezionato in anni e anni e anni di allenamento,o oltrepassi la linee dell'imbarco, e saluti ridendo, fai ciao ciao con la manina. Che va tutto bene. Che a piangere no, piuttosto ti mordi la lingua o il labbro inferiore forte forte forte, come direbbe la Carrà.
E poi, girato l'angolo, accesi i motori, sei tu, da sola, anche se sola non sei.
E in culo la nonchalance, in culo gli addominali emotivi che mi son fatta a suon di allenamenti, da serie da 50.
Si, metterei il segnalibro due o tre pagine più in la.
Linguetta. Libro. Tac.
Ora so già che qualcuno mi dirà (vi prego, fermatevi prima) quelle cose del tipo: la vita è un libro, sfogliarlo è qualcosa, sfogliarlo in modo figo è vivere.
Non me la ricordo neanche bene.
No la vita non è un libro.
C'è il sole. Scappo. Corro a prendere Giacomo.
Metto il segno, nel caso domani piovesse e volessi sudare di questo primo caldo d'aprile ancora per un po'.
Linguetta.

mercoledì 13 aprile 2016

Da qui. Alla giusta distanza.

E' un racconto un po' diverso , oggi.
E' un racconto che non è un racconto, ma che parla.
Di cose, di storie, di persone.
Ed anche di me.
Stasera ho visto dall'alto, da molto in alto, una città, che non è la mia città.
Non è la città che ha udito il mio primo pianto natale. Non sono le piazze in cui ho sbucciato per la prima volta le ginocchia.
Non ci sono le panchine in cui son stata richiamata e fatta accomodare per scontare una punizione.
No.
Ma è la città in cui vivo.
Quella che mi ha cambiato la vita.
Per dirla tutta, quella che mi sta insegnato la vita che cos'è.
Sono salita in alto, in alto, che più in alto non si può. Sulla Mole. Di sera.
Una sera nitida, pulita.
Sembrava che la città avesse capito e si fosse imbellettata e data un filo di rossetto ed una spruzzata di Channel.
Che se guardi in basso, mentre sei su quell'ascensore lì, o ti senti mancare o fingi di essere l'Uomo Ragno, per darti un tono.
E poi,in effetti, quando si spalancano le porte, un po' supereroe ti senti.
Purtroppo io, essendo io, porto con me una serie infinita di disattenzioni, di istanti da disadattata, che non posso perennemente combattere.
Dunque ho deciso di conviverci.
Ergo, nel momento top della serata, quello in cui con la città minuscola ed illuminata avrei dovuto e potuto immortalare il tempus fugit,si è scaricata la batteria del mio mitico Nokia.
Per cui farò come facevo da bambina: chiudo gli occhi.
E scrivo.
Non ci pensi mai, finché qualcosa non te le sbatte dinnanzi al muso, quante cose possono essere comprese guardando da lontano.
E' come quella cosa che gli esperti con gli occhialetti tondi, colorati e di design dicono riferendosi alle opere d'arte, ossia che si comprendono meglio alla giusta distanza.
Sai. Ho rivisto il nostro primo bacio al Valentino. Te lo ricordi?
Era lì, ieri sera.
L'ho spiato da lontano. Era bello. Sapeva d'estate. Aveva proprio quel gusto di prato e della piadina allo speck che avevamo mangiato.
Ho visto la via che porta in stazione. Ed ho visto tutti i treni che ho preso.
Con la voglia di andar via, a volte.
Con la voglia di tornare, a volte.
A volte lì, a metà strada, piena di dubbi e con la valigia troppo pesante.
Ho visto il Sant'Anna. Ho visto il sudore di quella notte infinita di quasi un anno fa.
Fatta di paura e felicità. Che chi l'ha detto che i due opposti non possono convivere?
Quella notte in cui sei nato tu. Ma sono nata anch'io, con te.
Ho visto il mio trasloco, con tutti gli scatoloni, che mi han portata da via Natale Palli in Vanchiglia.
Le cene sul balcone di Laura in San Salvario.
Il teatro di quella serata bellissima terminata con una birra ai Muri.
Ho visto tutte quelle strade, le mie strade.
Viale dopo viale.
Lampione dopo lampione.
Io, che ho un pessimo senso dell'orientamento.
Ho ritrovato tutto.
E tutto è ancora da cercare.




venerdì 18 marzo 2016

Uguali

Ma le hai mai viste davvero?
No, ma le hai mai viste davvero?
Dico
Due gocce d’acqua uguali tu
Le hai mai viste davvero?
Chi l’ha detto poi?
Identico a cosa? Identico a chi?
Cosa devo fare per uscire da qui?

Una è una bottiglia, l’altra un secchio a far destare la realtà,
sua maestà
Ma tu lo sai davvero la goccia che cazzo di faccia ha?
E scendono lievi e scendono correndo
E questo, amico mio, volendo o non volendo
Identico come due gocce d’acqua, dicono
E poi nessuno sa
Che nulla è più diverso di una finta affinità
Ma le hai mai viste davvero?
No, ma le hai mai viste davvero?
Dico
Due gocce d’acqua uguali tu
Le hai mai viste davvero?

giovedì 10 marzo 2016

Dalla parte sbagliata

Faccio la spesa sotto casa, alla Crai, spesso.
Direi non quotidianamente ma quasi.
Essendo dotata sempre di altra persona meco, non trasporto grossi contenuti di spesa, quindi sono un classico soggetto continuo, monotono e carico del necessario.
E, nonostante questa continuità, entro sempre dall'uscita.
La Crai ha una porta sul lato di Via Artisti, dove c'è scritto uscita e l'altra, su via Vanchiglia, che sarebbe, anzi è, l'entrata.
Ecco, io entro dalla parte sbagliata.
E questo si porta dietro un sacco di conseguenze.
La porta si apre al contrario, per cui è difficilissimo scorrere agevolmente in avanti con il passeggino.
La gente ti guarda male.
La signora in cassa ti ricorda sempre che col passeggino sarebbe meglio fare tutto il giro.
Insomma una serie di cose sgradevoli ed evitabili.
Se entrassi dalla parte giusta.
Ma io sono una che le cose le fa così, in salita.
L'altra sera parlavo con Lucia.
Noi adoriamo parlare di un sacco di cose.
Di amori giusti, sbagliati, di piedi scalzi e di versi degli animali.
Non conoscevamo il nome esatto del verso del delfino e della scimmia.
Colmato il delfino (ho scoperto, dopo analisi didattica, che chiamasi click), ci resta inesorabile ignoranza per la scimmia.
Colmeremo.
E comunque dicevamo della salita, che è un po' da sempre la metafora della vita per noi, così come la strada lo è per Springsteen.
Io non sono felice dell'idea che esista una strada precostituita per ognuno di noi, che alcuni nascono in pianura, altri sulle cime della Ande peruviane, però pare che dinnanzi a certe cose occorra arrendersi.
Come quella storie che ti insegnano fin da piccolo, che le dita della mano non sono tutte uguali, che tu dici " eee grazie al cazzo, lo vedo, ma che cosa mi vuoi dire con sta frase"?
Non tutte le strade sono uguali e non tutte portano a Roma.
La mia a Roma non mi ci ha ancora portato.
O forse sono entrata dalla porta palatina sbagliata.
Ho provato a fare una ricerca didattica su questa teoria, ma nel frattempo mi è venuta fame.
Ritenterò con la scimmia per appagare la sete di risposte.
Mi sa che faccio prima.

lunedì 22 febbraio 2016

Intervallo

Ad ogni modo, prima o poi, ci si dimentica.
I nomi, le cose, i posti.
L'incrocio di una via che passava accanto a quel negozio che...Che vendeva cosa?
Non c'è nulla da fare, per quanto magnesio tu possa prendere, prima o poi, ci si dimentica.
I compiti a casa per il giorno dopo, il pane. Non ho preso il pane per stasera.
Ci si dimentica.
L'unica cosa che non ho mai dimenticato nella mia vita era il bacio della buonanotte a mio padre e mia madre.
Quello e poi l'intervallo.
Campanella-->Driiiiin --> Intervallo.
Facile.
L'unico momento di pausa della mia vita che addirittura una campanella ti esortava a fare.
Vi è più capitato?
No dico, vi è più capitato che vi obbligassero a mangiare un Kinder bueno, parlando in corridoio di cazzate con gli amici, programmando serate in pizzeria molto spesso non giunte al termine perchè poi si doveva rientrare e quindi restavamo lì, con il nome, la sera scelta e mezza lista di compagni da avvisare?
A me non è più capitato.
Eppure mi piacerebbe un sacco.
Sveglia, caffè, vesti te stessa abbinando il colore (grazie), vesti altri componenti della famiglia non dotati di autonomia alle 6 del mattino, corri, lavoro, corri, nido, corri autobus, corri....
Driiiiiin--> Intervallo
Oh, e se non ti fermi c'è sempre la bidella che ti dice "ma che fai, stai qui? Hai il ciclo? sei indisposta?"
"No, no, non sono indisposta. Grazie"
E' che io sarei sempre disposta a fare le cose, solo che poi alle volte mi dimentico.
Tipo quella volta che volevo baciarti. Ti ricordi?
No, già. Come potresti.
Poi me ne son dimenticata.
Perchè era buio, era tardi, era sera.
Ed aspettavo la campanella dell'intervello che non è suonata.
Forse era rotta. Forse la signora Pina si è scordata di suonare.
Forse è suonata ed io non ho sentito
Driiiiiiiin