venerdì 30 maggio 2014

In punta di naso

Io sono una che con gli odori di solito, capisce.
Che strada prendere, quale abbandonare. Che cibo ingerire, cosa evitare.
Chi baciare e a chi stringere solo la mano.
Mi fido del mio naso, diciamo, che non sarà bellissimo, ma è il mio ed io ci voglio bene.
Gli odori sono un po’ le mie molliche da Pollicino, diciamo.
So distinguere, per farti un esempio, tre diverse traverse di via Garibaldi perché una sa di pane, una di crepes e l’altra di gelato.
Stamattina l’aria aveva l’odore della fine della scuola. Proprio quell’odore lì.
L’odore del giubbotto di jeans sbottonato e dell’ Invicta portata su una spalla sola (almeno fino all’arrivo al cancello di casa).
L’odore della pasta che si può fare col pomodoro fresco perché la conserva non serva più.
L’odore di quella dannata ultima interrogazione di matematica.
Ho l’odore delle gambe che un po’ tremano sempre e del cuore un po’ lanciato in aria che speriamo non cada.
Di quei sogni un po’ azzardati.
I sogni di fine maggio
Che l’anno prossimo allora è un anno importante.
Che inizio il liceo. Che ho come compagna di banco sempre lei ed i suoi occhi azzurri. Che ho preso un bel voto con la prof di francese. Che c’è quel ragazzo di quinta che mi prende un po’ in giro perché son piccola. Che inizio a studiare filosofia. Ho parlato di me in quel tema. Di chi volevi che parlassi scusa, con questa mano e questa penna ?Poi ho gli esami. Poi devo scegliere l’università.
Con quei sogni azzardati sempre aperti, mai rinchiusi in cassetti o nascosti sotto il materasso.
Sempre in degli scatoloni mai imballati.
Ed un pezzettino in tasca.
I sogni di fine maggio.
Che hanno l’odore un po’ leggero dell’aria che cambia e che, ci puoi scommettere, annuncia qualcosa.
Che poi, magari, ti sposi. E quel cuore lì è ancora che svolazza e che lotta e che vola e che ci crede.
All’ultima interrogazione di matematica, invece, non ci ho mai creduto.

martedì 13 maggio 2014

Gratta, gratta, Michelino!

Mi capita, di tanto in tanto, di offrire caffè a degli sconosciuti.
Come sabato per esempio, al bar Tabacchi.
Io ero io e lui aveva una bici rotta e molta fame.
Come oggi, per esempio, sempre al bar tabacchi, ma non lo stesso di sabato.
Lui aveva una camicia bianca di due taglie inferiori rispetto alla propria taglia effettiva, aveva preso un caffè, ma finito i soldi.
Gli ultimi cinque euro se li era fumati al grido della folla incitante "gratta, gratta, Michelino!".
Lui sorrideva e grattava con le unghie, che erano diventate un po' nere e un po' d'argento.
E più grattava più divenatava triste in volto.
Aveva grattato tutto e non aveva vinto nulla, neppure un caffè.
Neppure quel caffè già preso.
Gratta, gratta, Michelino!
A volte sembra tutto un caso, una scommessa.
I giorni, la vita, intendo.
Ti capita, no, di avere quei giorni in cui apri gli occhi ed incroci le dite nello stesso istante, no?
Che ti leghi la felicità come fosse un nodo al fazzoletto, per non dimenticartela sopra il primo tram, insieme all'ombrello giallo.
La mia amica ha un contratto per tre giorni.
Gratta, gratta, Michelino!
Che magari vinci una supplenza!
Ti sei laureato e o lavori in un call center o emigri in America?
Gratta, gratta, Michelino!
Prendi 468 euro di pensione, è il 13 di maggio e vorresti comprarti una bistecca?
Gratta, gratta, Michelino!
Ero lì, e guardavo.
Ma Michelino, ma perchè? Ma non ti vogliono mica bene sai? Non sempre il bar degli amici è un mondo reale.
Lo so, lo vedo, che tu il tuo mondo ce l'hai in testa, ma sai qui è diverso.
Qui è tutto così strano che alle volte basta una camicia di due taglie più piccola a diventar il pretesto di mezz'ora di prese per il culo. Lascia perdere Michelino, che mentre tu gratti quello stupido cartoncino, lo Stato ha già grattato le tue tasche, e quei quattro coglioni al bar, la tua anima ed i tuoi occhi.
Non sono amici, Michelino.
No. Volevo dirtelo ed invece ti ho solo lasciato il caffè pagato.
Al bar tabacchi.