Prendi dei frutti con dei nomi
strani, tanti amici, tanti libri, una suora, un prete che pesa cento chili, una
mamma e una donna, la tua donna, incinta, che non ami più.
Prendi Cristiano.
Prendi, oltre alla presenza, anche
l’assenza.
L'assenza del padre, la storia
più importante di tutte, esorcizzata con una miriade di altre storie e di
presenze.
Senza un padre non si cresce,
senza un padre non si è: la vita di Cristiano è uno sforzo continuo per
riempire quell'assenza e costruire un'alternativa.
"Avevo impiegato trent'anni a costruirmi quel babbo tutto mio, ed
era implacabile, era D'Artagnan, Sandokan, Tom Sawyer, Jean Valjean, il conte
di Montecristo. Era pieno di ricordi di tutte le persone che avevo vissuto fino
a quel momento, era sempre con me, indomabile come Cirano."
Adesso mescola bene.
Tutto il libro si avvita attorno
a una metafora: l'idea del "frutto dimenticato".
Ogni autunno a Casola Valsenio,
il paese natale di Cristiano, si celebra la festa dei frutti dimenticati.
Piante ormai sconosciute, come le azzeruole, le giuggiole o le pere volpine.
Perché salvare questi frutti
dall'oblio?
Non so.
Perché è necessario, forse?
Avete in mano un’autobiografia
ragazzi che non è coniugata né al passato né all'imperfetto.
Che ha il sapore del presente e
del futuro.
Come quei frutti, dimenticati ma
non del tutto.
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