Vittoria Baruffaldi
Esercizi di meraviglia
2016
Super ET Opera Viva
Giulio Einaudi Editore
pp. 138
€ 13,50
Avremmo dovuto sederci. Prendere un caffè come si confà a due signore.
In Piazza Vittorio, o che so io.
Parlare della scrittura, del tempo, forse anche della miscela del caffè.
Forse lo faremo. Di sicuro, anzi. Ma non oggi.
Oggi inauguriamo la rubrica della "Colazione immaginaria" (leggi: come rendere fico il mio essere incasinata, il suo essere colma di impegni ed il fatto che la giornata ha 24 ore, ma per finta).
Io sono io. Lei è lei, Vittoria. E lui è un libro. Un manuale. Uno specchio. Un prontuario.
Esercizi di meraviglia.
Difficile definirlo ed in fondo chi ha detto che bisogna definire tutto per forza?
Ho capito già dalla terza pagina che ne sarei rimasta affascinata, quando ho letto "Perchè essere madri significa reimparare lo stupore, è un esercizio di meraviglia".
E' stato toccante quel frammento che ha reso palpabile l'impalpabile.
Una frase e ti ritrovi a toccare stupore, a cercarlo negli occhi, nelle cose, tra le mani.Sfregando il naso di tuo figlio contro il tuo.
Il libro è dedicato alla sua Penelope, ma Penelope è un po' la rappresentante d'istituto della scuola di vita dell'esser bambini, dell'esser figli.
Esercizi di meraviglia è una danza armoniosa tra ciò che si vive dall'istante successivo al test di gravidanza positivo e Socrate, Talete, Pitagora, Sartre, Rousseau.
E' il dialogo tra il corpo ed il pensiero, un' alternanza di pappe, latte, pannolini e concetti, il tutto mescolato con le sue parole, quelle di Vittoria, e la sua penna intelligente.
Alzi la mano chi, sin dai primi di giorni da "donna con la pancia", non è stata attaccata, assalita, accerchiata da quelle che "ma come, non lo sai? ma come fai così?".
Io ne ho avuto una schiera. Arrivata al nono mese le riconoscevo a distanza, le fiutavo.
Ma allatti? E quanto ? E come? E il corso pre-parto? Aaaa vedrai le colichetteeee
Solo che a me accentuavano la nausea. A Vittoria no. Lei batte tutti a colpi di Kant.
"Non conosci tuo figlio, quindi, e lui non conosce te. Eppure vi siete amati dal primo istante, sotto una lampada ospedialiera, tra sangue sudore e lacrime, come in un romanzo d'appendice".
E' così. E' esattamente così.
Essere madri non è solo la famigerata "magia della maternità". Essere madre è difficile.
Essere madre è occhiaie. Essere madre è magliette dallo scollo slargato a furia di tirarlo giù.
Però essere madre è.
Un nuovo inizio. Una rinascita.
"Per rinascere bisogna passare da zone d'ombra a zone di luce; attraversare il nulla. Spogliarsi dalle sperenze altrui, come un bambino che scappa in giro per la casa nudo e libero, fino a riconoscersi davvero per quello che si è".
Ore 09:10
Lascio squillare. Risponde subito. Volevo dire di essere Natalia di Cavalli e Segugi, ma questo non è Notting Hill e soprattutto lei ha il mio numero memorizzato quindi non funziona. Partono le quattro domande.
- Allora, Vittoria, ti è mai capitato di "cadere in un pozzo mentre osservavi le stelle" come in quell'aneddoto di Platone su Talete?
Si, certo. La maternità è un'esperienza forte, fantastica e difficile. Ha due dimensioni: quella fisica e quella metafisica. E non parlo solo della mia esperienza personale, ma è un'esperienza diffusa, condivisa da tutte coloro che affrontano questa nuova vita. Non si può non cadere. Ma ci si rialza, sempre.
- Quando passa, se passa, il sentirsi " gemelli della paura" nell'essere madre?
Secondo me non passa mai. La paura inizia a sorgere quando sai di aspettare un bambino. Paure irrazionali come "sarò brava?" "saprò star con mio figlio tutta la giornata da sola?". Poi si evolvono, ma non passano.
Secondo me la paura va accolta, non occorre necessariamente sempre sfuggirla. Non è quasi mai un sentimento univoco, perchè può portare anche delle forze inaspettate, delle risposte. Bisogna tenerla un po' in braccio, ecco. Come si fa con i neonati.
- Ok, ho letto il tuo libro d'un fiato e tutto tutto, fino in fondo, ma non ho trovato i ringraziamenti. Giuro. Vuoi farlo ora?
Ridiamo
No è che in realtà io sono molto pudica con i sentimenti. Li tengo nella mia sfera privata. Ho abbracciato tutti i miei amici, ho abbracciato e ringraziato tutti quelli che hanno lavorato con me e per me. Son stati tanti e tutti bravissimi. Ecco, io ringrazio così, nel privato.
Quarta ed ultima domanda
- Le tre cose a cui pensi prima di andare a dormire.
Io la notte cerco di non pensare, di non arrovellarmi troppo in realtà. Leggo, si.
Ah, e scivolo di là da mia figlia. La guardo dormire. Quello mi mette in pace anche con la giornata più dura. Si, scivolo di là e penso ai suoi sogni, ai sogni dei bambini.
"Il segreto , dunque, sta nell'agire come se si credesse. E per una madre questo significa agire come se credesse che la vita, per suo figlio, sarà felice".
Ho deciso di tatuarmela sta frase.
Grazie Vittoria.
venerdì 29 aprile 2016
venerdì 15 aprile 2016
Per non perdere il segno
Sarebbe facile se funzionasse sempre come per i libri.
Leggi ovunque, in tram, sul treno, sul cesso, sull'uscio della soglia da varcare, poi bo succede qualcosa, hai un imprevisto, ti squilla il telefono o ti citofona il postino e tu fai una linguetta in cima alla pagina, per non perdere il segno, chiudi il libro, fai quello che devi fare, ritiri la raccomandata, è una multa, cavoli, vai la paghi, torni e quando riapri il libro, tac, linguetta e pagina.
Facile.
Come tutte quelle volte che tornavo dall'Università allora il primo cappuccino era da Joe, e sapevo già che mi avrebbe chiesto "how are you?", sorridendo tra i baffi, con quella voce che adesso che ci penso ricordo perfettamente, ed allora io avrei risposto sorridendo "I'm fine, thank you. And you?". E poi continuava ancora un pochino, lui mi preparava il cappuccino, senza fretta, parlando di me, delle città, dei pensieri, che se volevo per il giorno dopo il cornetto al cioccolato glielo dovevo dire, me l'avrebbe messo da parte.
Era il suo modo, uno dei tanti, per dirmi che mi voleva bene. Avrei fatto la linguetta su quella pagina lì, per aprirla ogni volta, ed ogni volta ancora, al mio rientro.
Ho imparato qualche parola in inglese in più, sai? Ah, quel viaggio a New York è stato fantastico. Avrei voluto parlartene.
Ho fatto come mi hai detto tu: quella tessera che valeva una settimana per visitare più musei. Avresti dovuto saperlo ed io avrei dovuto dirtelo.
Libro. Linguetta. Tac.
Ogni volta che riparto, scorrerei in avanti tutte le pagine dei saluti.
Tanto so la scena che viene, che scena è.
La scena dei magoni mascherati.
Il bacio alle nonne del giorno prima, che ti abbracciano come se volessero strapparti un pezzettino di maglietta, o farti cambiare idea.
O che sali con nonchalance sul treno, quella nonchalance che ormai hai perfezionato in anni e anni e anni di allenamento,o oltrepassi la linee dell'imbarco, e saluti ridendo, fai ciao ciao con la manina. Che va tutto bene. Che a piangere no, piuttosto ti mordi la lingua o il labbro inferiore forte forte forte, come direbbe la Carrà.
E poi, girato l'angolo, accesi i motori, sei tu, da sola, anche se sola non sei.
E in culo la nonchalance, in culo gli addominali emotivi che mi son fatta a suon di allenamenti, da serie da 50.
Si, metterei il segnalibro due o tre pagine più in la.
Linguetta. Libro. Tac.
Ora so già che qualcuno mi dirà (vi prego, fermatevi prima) quelle cose del tipo: la vita è un libro, sfogliarlo è qualcosa, sfogliarlo in modo figo è vivere.
Non me la ricordo neanche bene.
No la vita non è un libro.
C'è il sole. Scappo. Corro a prendere Giacomo.
Metto il segno, nel caso domani piovesse e volessi sudare di questo primo caldo d'aprile ancora per un po'.
Linguetta.
Leggi ovunque, in tram, sul treno, sul cesso, sull'uscio della soglia da varcare, poi bo succede qualcosa, hai un imprevisto, ti squilla il telefono o ti citofona il postino e tu fai una linguetta in cima alla pagina, per non perdere il segno, chiudi il libro, fai quello che devi fare, ritiri la raccomandata, è una multa, cavoli, vai la paghi, torni e quando riapri il libro, tac, linguetta e pagina.
Facile.
Come tutte quelle volte che tornavo dall'Università allora il primo cappuccino era da Joe, e sapevo già che mi avrebbe chiesto "how are you?", sorridendo tra i baffi, con quella voce che adesso che ci penso ricordo perfettamente, ed allora io avrei risposto sorridendo "I'm fine, thank you. And you?". E poi continuava ancora un pochino, lui mi preparava il cappuccino, senza fretta, parlando di me, delle città, dei pensieri, che se volevo per il giorno dopo il cornetto al cioccolato glielo dovevo dire, me l'avrebbe messo da parte.
Era il suo modo, uno dei tanti, per dirmi che mi voleva bene. Avrei fatto la linguetta su quella pagina lì, per aprirla ogni volta, ed ogni volta ancora, al mio rientro.
Ho imparato qualche parola in inglese in più, sai? Ah, quel viaggio a New York è stato fantastico. Avrei voluto parlartene.
Ho fatto come mi hai detto tu: quella tessera che valeva una settimana per visitare più musei. Avresti dovuto saperlo ed io avrei dovuto dirtelo.
Libro. Linguetta. Tac.
Ogni volta che riparto, scorrerei in avanti tutte le pagine dei saluti.
Tanto so la scena che viene, che scena è.
La scena dei magoni mascherati.
Il bacio alle nonne del giorno prima, che ti abbracciano come se volessero strapparti un pezzettino di maglietta, o farti cambiare idea.
O che sali con nonchalance sul treno, quella nonchalance che ormai hai perfezionato in anni e anni e anni di allenamento,o oltrepassi la linee dell'imbarco, e saluti ridendo, fai ciao ciao con la manina. Che va tutto bene. Che a piangere no, piuttosto ti mordi la lingua o il labbro inferiore forte forte forte, come direbbe la Carrà.
E poi, girato l'angolo, accesi i motori, sei tu, da sola, anche se sola non sei.
E in culo la nonchalance, in culo gli addominali emotivi che mi son fatta a suon di allenamenti, da serie da 50.
Si, metterei il segnalibro due o tre pagine più in la.
Linguetta. Libro. Tac.
Ora so già che qualcuno mi dirà (vi prego, fermatevi prima) quelle cose del tipo: la vita è un libro, sfogliarlo è qualcosa, sfogliarlo in modo figo è vivere.
Non me la ricordo neanche bene.
No la vita non è un libro.
C'è il sole. Scappo. Corro a prendere Giacomo.
Metto il segno, nel caso domani piovesse e volessi sudare di questo primo caldo d'aprile ancora per un po'.
Linguetta.
mercoledì 13 aprile 2016
Da qui. Alla giusta distanza.
E' un racconto un po' diverso , oggi.
E' un racconto che non è un racconto, ma che parla.
Di cose, di storie, di persone.
Ed anche di me.
Stasera ho visto dall'alto, da molto in alto, una città, che non è la mia città.
Non è la città che ha udito il mio primo pianto natale. Non sono le piazze in cui ho sbucciato per la prima volta le ginocchia.
Non ci sono le panchine in cui son stata richiamata e fatta accomodare per scontare una punizione.
No.
Ma è la città in cui vivo.
Quella che mi ha cambiato la vita.
Per dirla tutta, quella che mi sta insegnato la vita che cos'è.
Sono salita in alto, in alto, che più in alto non si può. Sulla Mole. Di sera.
Una sera nitida, pulita.
Sembrava che la città avesse capito e si fosse imbellettata e data un filo di rossetto ed una spruzzata di Channel.
Che se guardi in basso, mentre sei su quell'ascensore lì, o ti senti mancare o fingi di essere l'Uomo Ragno, per darti un tono.
E poi,in effetti, quando si spalancano le porte, un po' supereroe ti senti.
Purtroppo io, essendo io, porto con me una serie infinita di disattenzioni, di istanti da disadattata, che non posso perennemente combattere.
Dunque ho deciso di conviverci.
Ergo, nel momento top della serata, quello in cui con la città minuscola ed illuminata avrei dovuto e potuto immortalare il tempus fugit,si è scaricata la batteria del mio mitico Nokia.
Per cui farò come facevo da bambina: chiudo gli occhi.
E scrivo.
Non ci pensi mai, finché qualcosa non te le sbatte dinnanzi al muso, quante cose possono essere comprese guardando da lontano.
E' come quella cosa che gli esperti con gli occhialetti tondi, colorati e di design dicono riferendosi alle opere d'arte, ossia che si comprendono meglio alla giusta distanza.
Sai. Ho rivisto il nostro primo bacio al Valentino. Te lo ricordi?
Era lì, ieri sera.
L'ho spiato da lontano. Era bello. Sapeva d'estate. Aveva proprio quel gusto di prato e della piadina allo speck che avevamo mangiato.
Ho visto la via che porta in stazione. Ed ho visto tutti i treni che ho preso.
Con la voglia di andar via, a volte.
Con la voglia di tornare, a volte.
A volte lì, a metà strada, piena di dubbi e con la valigia troppo pesante.
Ho visto il Sant'Anna. Ho visto il sudore di quella notte infinita di quasi un anno fa.
Fatta di paura e felicità. Che chi l'ha detto che i due opposti non possono convivere?
Quella notte in cui sei nato tu. Ma sono nata anch'io, con te.
Ho visto il mio trasloco, con tutti gli scatoloni, che mi han portata da via Natale Palli in Vanchiglia.
Le cene sul balcone di Laura in San Salvario.
Il teatro di quella serata bellissima terminata con una birra ai Muri.
Ho visto tutte quelle strade, le mie strade.
Viale dopo viale.
Lampione dopo lampione.
Io, che ho un pessimo senso dell'orientamento.
Ho ritrovato tutto.
E tutto è ancora da cercare.
E' un racconto che non è un racconto, ma che parla.
Di cose, di storie, di persone.
Ed anche di me.
Stasera ho visto dall'alto, da molto in alto, una città, che non è la mia città.
Non è la città che ha udito il mio primo pianto natale. Non sono le piazze in cui ho sbucciato per la prima volta le ginocchia.
Non ci sono le panchine in cui son stata richiamata e fatta accomodare per scontare una punizione.
No.
Ma è la città in cui vivo.
Quella che mi ha cambiato la vita.
Per dirla tutta, quella che mi sta insegnato la vita che cos'è.
Sono salita in alto, in alto, che più in alto non si può. Sulla Mole. Di sera.
Una sera nitida, pulita.
Sembrava che la città avesse capito e si fosse imbellettata e data un filo di rossetto ed una spruzzata di Channel.
Che se guardi in basso, mentre sei su quell'ascensore lì, o ti senti mancare o fingi di essere l'Uomo Ragno, per darti un tono.
E poi,in effetti, quando si spalancano le porte, un po' supereroe ti senti.
Purtroppo io, essendo io, porto con me una serie infinita di disattenzioni, di istanti da disadattata, che non posso perennemente combattere.
Dunque ho deciso di conviverci.
Ergo, nel momento top della serata, quello in cui con la città minuscola ed illuminata avrei dovuto e potuto immortalare il tempus fugit,si è scaricata la batteria del mio mitico Nokia.
Per cui farò come facevo da bambina: chiudo gli occhi.
E scrivo.
Non ci pensi mai, finché qualcosa non te le sbatte dinnanzi al muso, quante cose possono essere comprese guardando da lontano.
E' come quella cosa che gli esperti con gli occhialetti tondi, colorati e di design dicono riferendosi alle opere d'arte, ossia che si comprendono meglio alla giusta distanza.
Sai. Ho rivisto il nostro primo bacio al Valentino. Te lo ricordi?
Era lì, ieri sera.
L'ho spiato da lontano. Era bello. Sapeva d'estate. Aveva proprio quel gusto di prato e della piadina allo speck che avevamo mangiato.
Ho visto la via che porta in stazione. Ed ho visto tutti i treni che ho preso.
Con la voglia di andar via, a volte.
Con la voglia di tornare, a volte.
A volte lì, a metà strada, piena di dubbi e con la valigia troppo pesante.
Ho visto il Sant'Anna. Ho visto il sudore di quella notte infinita di quasi un anno fa.
Fatta di paura e felicità. Che chi l'ha detto che i due opposti non possono convivere?
Quella notte in cui sei nato tu. Ma sono nata anch'io, con te.
Ho visto il mio trasloco, con tutti gli scatoloni, che mi han portata da via Natale Palli in Vanchiglia.
Le cene sul balcone di Laura in San Salvario.
Il teatro di quella serata bellissima terminata con una birra ai Muri.
Ho visto tutte quelle strade, le mie strade.
Viale dopo viale.
Lampione dopo lampione.
Io, che ho un pessimo senso dell'orientamento.
Ho ritrovato tutto.
E tutto è ancora da cercare.
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