C’è un tizio che ha la fissa della felicità. Non in senso letterario, filosofico. Non è che contempla le stelle limonando con una Kelly qualunque dai capelli rossi e urla al cielo "cielo quanto sono felice".
No
Arthur C. Brooks ha pubblicato sul New York Times un articolo su felicità e infelicità.
Che dice? In definitiva, quel che dicono il Dalai Lama, Gesù Cristo, la maggior parte dei filosofi e mia nonna: ama le persone, non le cose. Il materialismo non ti renderà felice, il successo, i soldi e la fama non ti renderanno felice, gli altri invece sì: amare parenti, amici, conoscenti, estranei e persino nemici è l’unica cosa che può garantirti la felicità, o almeno dissipare l’infelicità.
Nel suo articolo Brooks parte da Abd al Rahaman III, emiro del decimo secolo, il quale lasciò scritto che, dopo aver regnato cinquant’anni tra assolute ricchezze e onori, poteri e piaceri, aveva contato quanti giorni era stato felice in senso assoluto nella sua vita, e aveva concluso che erano stati quattordici.
Quattordici.
Ogni volta che leggo questo genere di riflessioni – sacrosante, per carità – da parte di qualche importante analista americano in primis penso che ste ricerche son sempre americane.
Poi ho pensato all’emiro. Un gioco irresistibile. Contare i giorni di assoluta felicità. Felici dal risveglio alla sera, pisolini compresi.
Felici senza macchie
La felicità, quella che non si misura a chilo, né a giornate ma a istanti, emozioni, squarci, confusi brandelli di immagini, sogni e ricordi: un giorno completamente e pienamente felice, dal momento del risveglio a quello in cui si va a dormire, non è scontato da ritrovare.
Io mi ricordo che se m’avessero detto che poi non le facevano più avrei comprato più scatoline del Mulino Bianco.
Ve le ricordate? Le scatoline che le aprivi e c’erano delle sorprese mai viste.
Io ero felice. O magari solo spensierata in quell’istante. Va a sapere
Qualcuno citerà nascita di figli, matrimoni e in generale innamoramenti (ricambiati, se no l’amore è un inferno), esami superati, successi professionali, viaggi, incontri, disgrazie scampate, dolori superati, ricordi legati alla contemplazione della natura.
Ma quattordici giorni completamente felici non sono uno scherzo.
Provate a contare.
Chi fa più di quattordici vince. Anzi ha già vinto.
giovedì 25 settembre 2014
giovedì 18 settembre 2014
Sette zucche strette e storte
Ho comprato un sacco grande di iuta. E ci ho messo dentro del tempo.
E’ stato difficile da imbrigliare, ma alla fine, l’ho ingannato.
Ci è entrato il tempo a pezzettini e restava spazio. E lo spazio vuoto così come lo spazio bianco, lì da soli, con poco tempo, avevano paura.
Allora ho trovato tutte le porte che non si sono aperte e quelle parole si sono aggrappate a tralci secchi. come le viti quando non c’è sole abbastanza.
In un sacco, grande di iuta.
Ci ho messo dentro il tempo di comprare poche cose, poche cose necessarie e così, velocemente, ho iniziato.
Ci ho messo quel telefono che squilla aspettando le risposte, ci ho messo l’ultima fetta di torta che mi hai rubato. Ci ho messo quel treno che era mio ma che avevo sbagliato binario. Ci ho messo quel libro che ho perso sull’aereo andando in Canada. Ci ho messo tutte le firme dei miei compagni di scuola raccolte sulla Smemo sventrata. Ci ho messo il maglione grigio a righe che mi manca. Ci ho messo le scorzette d’arancia ricoperte di cioccolato fondente. Lo smalto rosso praticamente nuovo. La prima poesia, quella per la festa del papà. La frase scritta dietro l’invicta che faceva tipo the best, ma sapeva di altro. Ci ho messo tutta la valigia di Pisa, il libro di diritto costituzionale che m’aveva infiammato l’anima. C’ho messo Robin Williams che m’ha spezzato il cuore. C’ho messo anche lontano lontano di Tenco, che mi ammagona sempre un po’ troppo questi poveri occhi. Una bottiglietta d’acqua naturale, che comunque bisogna berne almeno due litri al giorno. I bonghi del Benja, che spacciava, tra l’altro, anche cd dietro la mensa. I concetti di chakra, di pratica sciamanica, di karma, di yoga e di toponomastica: tutti ed in egual modo troppo incomprensibili per me.
Solo che adesso s’è mischiato tutto.
La valigia con i binari. Lo smalto con i bonghi.
Robin Williams con Tenco.
Tra l’altro. Perché?
Cavolo Luigi. Cioè anche il tuo amico Gino c’ha provato, poi però tra na Sandrelli e na Vanoni, cioè, come dire. Ha trovato delle alternative.
E tu Robin? Ho capito. Canale 5 ha trasmetto 1.178 volte Mrs. Doubtfire e tu non ne potevi più. Ok. Però farlo così…. Che ne so...Avresti potuto farlo in modo più originale, al grido di good morning Vietnam per esempio... Con un naso finto...Con delle piume di struzzo intorno al collo.
Invece no, tutto ovattato. Tutto chiuso Tutto dentro.
Ho comprato un grande sacco di iuta, un giorno, per caso, ma non so cosa farne. E’ troppo pesante per portarlo con me, ma anche troppo pesante per abbandonarlo.
Forse, se mi va, lo ingoio.
E’ stato difficile da imbrigliare, ma alla fine, l’ho ingannato.
Ci è entrato il tempo a pezzettini e restava spazio. E lo spazio vuoto così come lo spazio bianco, lì da soli, con poco tempo, avevano paura.
Allora ho trovato tutte le porte che non si sono aperte e quelle parole si sono aggrappate a tralci secchi. come le viti quando non c’è sole abbastanza.
In un sacco, grande di iuta.
Ci ho messo dentro il tempo di comprare poche cose, poche cose necessarie e così, velocemente, ho iniziato.
Ci ho messo quel telefono che squilla aspettando le risposte, ci ho messo l’ultima fetta di torta che mi hai rubato. Ci ho messo quel treno che era mio ma che avevo sbagliato binario. Ci ho messo quel libro che ho perso sull’aereo andando in Canada. Ci ho messo tutte le firme dei miei compagni di scuola raccolte sulla Smemo sventrata. Ci ho messo il maglione grigio a righe che mi manca. Ci ho messo le scorzette d’arancia ricoperte di cioccolato fondente. Lo smalto rosso praticamente nuovo. La prima poesia, quella per la festa del papà. La frase scritta dietro l’invicta che faceva tipo the best, ma sapeva di altro. Ci ho messo tutta la valigia di Pisa, il libro di diritto costituzionale che m’aveva infiammato l’anima. C’ho messo Robin Williams che m’ha spezzato il cuore. C’ho messo anche lontano lontano di Tenco, che mi ammagona sempre un po’ troppo questi poveri occhi. Una bottiglietta d’acqua naturale, che comunque bisogna berne almeno due litri al giorno. I bonghi del Benja, che spacciava, tra l’altro, anche cd dietro la mensa. I concetti di chakra, di pratica sciamanica, di karma, di yoga e di toponomastica: tutti ed in egual modo troppo incomprensibili per me.
Solo che adesso s’è mischiato tutto.
La valigia con i binari. Lo smalto con i bonghi.
Robin Williams con Tenco.
Tra l’altro. Perché?
Cavolo Luigi. Cioè anche il tuo amico Gino c’ha provato, poi però tra na Sandrelli e na Vanoni, cioè, come dire. Ha trovato delle alternative.
E tu Robin? Ho capito. Canale 5 ha trasmetto 1.178 volte Mrs. Doubtfire e tu non ne potevi più. Ok. Però farlo così…. Che ne so...Avresti potuto farlo in modo più originale, al grido di good morning Vietnam per esempio... Con un naso finto...Con delle piume di struzzo intorno al collo.
Invece no, tutto ovattato. Tutto chiuso Tutto dentro.
Ho comprato un grande sacco di iuta, un giorno, per caso, ma non so cosa farne. E’ troppo pesante per portarlo con me, ma anche troppo pesante per abbandonarlo.
Forse, se mi va, lo ingoio.
martedì 9 settembre 2014
E' andata così
Non so da dove iniziare.
Vi vedo lì, per terra, sofferenti.
E non faccio nulla. Non muovo un dito.
Cosa volete che faccia?
E’ andata così.
Vi ricordate, ad esempio, quella sera assurda, fatta di capricci e sudori?
Capire quale fosse la vostra idea mi risultò impossibile.
E il giorno della mia laurea?
Siate stati degli stronzi senza un domani.
La precisione non era nella vostra indole, ma quel giorno indomiti, indomabili, sfuggenti.
E adesso cos’è questo lamento? Che fate, piangete? Adesso?
Abbiamo avuto momenti felici, per carità. Fatti di vento che accarezza, di mani che sentono.
Quel tuffo a labbra salate il fuoco e quattro stronzate…per carità , ma
E’ andata così.
Non voglio dire, con questo, che sia una chiusura definitiva, la nostra.
Per carità. Dicono che mai dire mai.
Ci saranno dei giorni in cui ci sfioreremo ancora.
No, non è un addio.
Ma per adesso voi siete li, ed io qui.
Qui, eretta.
Voi?
Voi vi farete scopare da lui, lei e l’altro. Non mi importa più.
Io sono qui, eretta
E col collo scoperto.
Vi ho solo tagliati via.
Anche Barbie luce di stelle dovrebbe farlo.
Con affetto,
il Caschetto.
Vi vedo lì, per terra, sofferenti.
E non faccio nulla. Non muovo un dito.
Cosa volete che faccia?
E’ andata così.
Vi ricordate, ad esempio, quella sera assurda, fatta di capricci e sudori?
Capire quale fosse la vostra idea mi risultò impossibile.
E il giorno della mia laurea?
Siate stati degli stronzi senza un domani.
La precisione non era nella vostra indole, ma quel giorno indomiti, indomabili, sfuggenti.
E adesso cos’è questo lamento? Che fate, piangete? Adesso?
Abbiamo avuto momenti felici, per carità. Fatti di vento che accarezza, di mani che sentono.
Quel tuffo a labbra salate il fuoco e quattro stronzate…per carità , ma
E’ andata così.
Non voglio dire, con questo, che sia una chiusura definitiva, la nostra.
Per carità. Dicono che mai dire mai.
Ci saranno dei giorni in cui ci sfioreremo ancora.
No, non è un addio.
Ma per adesso voi siete li, ed io qui.
Qui, eretta.
Voi?
Voi vi farete scopare da lui, lei e l’altro. Non mi importa più.
Io sono qui, eretta
E col collo scoperto.
Vi ho solo tagliati via.
Anche Barbie luce di stelle dovrebbe farlo.
Con affetto,
il Caschetto.
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